Tassista ucciso dopo una lite, gli ultimi istanti di Aquila 7: cronaca di una morte in Aula

baconeilgiorno.it Gli ultimi attimi di vita cosciente di Aquila 7, il tassista di San Donato Alfredo Famoso, stanno nel disarmante gesto di trattenere gli occhiali, spezzati dal colpo ricevuto in faccia (quattro bottiglie di San Benedetto in corpo unico). «L’ho visto afferrarli, per non perderli, tenerli in pugno mentre arretrava di qualche passo, barcollava, cadeva a terra, e tenerli stretti anche dopo la caduta». A terra, gli occhiali in mano, in coma senza ritorno: «Sembrava russasse, un respiro affannoso». Fine di Alfredo il tassista, 68 anni, raccontato in aula, prima Corte d’Assise, da testimoni oculari d’elezione, una giovane coppia che si affiancava all’altra coppia, formata da Davide Righi, che per la morte di Famoso risponde di omicidio preterintenzionale, e la sua compagna incinta. 

In quattro sul marciapiedi di via Morgagni in fronte al ristorante Alba D’Oro, non hanno ancora occupato la carreggiata – sono le 20,30 del 23 febbraio – quando Aquila 7 passa e non dà la precedenza ai pedoni. Ma c’erano auto, in corrispondenza dell’incrocio («come ci sono sempre» dirà una teste), e iltassista potrebbe non aver visto i pedoni, o come dice un altro, «spesso le auto non si fermano e vanno avanti anche sulle strisce». Francesco C. è l’uomo della coppia che si affianca a Righi e compagna: «Tornavo a casa con la mia ragazza. Sopraggiunge un taxi che non si ferma per farci passare. Non sfrecciava, andava a velocità moderata: ci ha visti e non ha rallentato per darci la precedenza. L’uomo al mio fianco aveva una confezione di quattro bottiglie d’acqua in mano.Alterato, la scaglia sullo sportello sinistro del taxi,che si ferma pochi metri più avanti. Il tassista scende, si sistema i pantaloni, dice: “Mi hai rotto lo specchietto”. L’uomo: “La prossima volta impari”, e riprende la confezione da terra. I due sono vicini, quando le stesse bottiglie sono scaraventate sul volto del tassista, che dal marciapiede fa un passo indietro» e non trova più terreno, «cade, sbatte la nuca sulla parte posteriore di una jeep e poi la risbatte a terra». La compagna di Righi – racconta il teste – «gli dice “che hai fatto”, e lui risponde “guarda, sta bene, la prossima volta impara”, poi Righi si allontana, ogni tanto si volta indietro verso l’uomo a terra che sembrava dormire».

Il tecnico informatico Righi, 48 anni, e la sua compagna tornano a casa, lasciano la spesa, bevono un po’ dell’acqua minerale appena usata come arma (e che non compare nello scontrino del supermarket ritrovato dalla polizia), escono per una pizza: senza sapere più nulla dell’uomo lasciato a terra, ma dopo aver lasciato il numero telefonico a un maresciallo (là per caso) che cerca di trattenerli. Aquila 7 muore due giorni dopo. Righi si costituisce, dal carcere passa ai domiciliari (ora a piede libero) perché il gip derubrica il reato da omicidio volontario a preterintenzionale con l’attenuante della provocazione. Ma una teste ieri diceva: «Il tassista si è avvicinato a noi, ma dire fosse adirato è eccessivo». Film visti da visuali diverse, come quella della compagna di Righi, che invece racconta: «Stavamo attraversando, all’improvviso Davide mi trattenne facendomi fare un balzo indietro, perché c’era un taxi che passava veloce. Poi vidi delle bottiglie volare…».

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