Donne senza paura

penelope_1Siamo le compagne di due tassisti milanesi che pensano che a volte nella vita non si può far solo la penelope che tesse la tela e aspetta… Iniziavano così Federica e Maddalena prima di annunciare a TaxiStory la nascita del gruppo taxi in famiglia su FaceBook.  In un mondo che viaggia un po’ troppo al maschile, hanno voglia di dire finalmente a gran voce “ci siamo anche noi con loro”. Hanno già scritto una lettera al Presidente del Consiglio Monti, non si tratta di vocine timide e rassegnate ma voci autorevoli di donne senza paura. Capaci di difendersi e difenderci con i denti, se occorrerà,  con la forza indomita di non volere mollare. Oggi ho letto la storia delle trenta donne-coraggio della Tacconi Sud di Latina e non ho potuto fare a meno di pensare alle NOSTRE donne. Leggete e capirete.

Gli occhi sono fessurati, la mattina, stanchi per il poco sonno e la vita spostata. Le notti in fabbrica si fanno, ma non per cucire le tende. Alla Tacconi Sud la smerigliatrice è ferma da mesi, sul banco del incollaggi nessuno mette le mani dal dicembre 2010. Da quando il titolare decise di chiudere e le operaie occuparono la fabbrica per impedire che 20 anni di lavoro svaniscano nel nulla: «Siamo tutte donne, siamo qui dentro dal 19 gennaio, la cassa integrazione scadrà il 31 dicembre: se non verrà prorogata, saremo tutte licenziate». 327 giorni di presidio, 6 mesi senza stipendio, la c.i.g. è arrivata a giugno. Fabbrica Tacconi Sud, cuore profondo dell’Agro Pontino, dove le fabbriche chiudono come fiori appassiti sotto i colpi di una recessione che qui è iniziata molto prima del 2008. Produceva tende per la Protezione Civile e barriere galleggianti per la tutela delle acque. Poi la crisi.

Rosa Giancola alla macchina da cucire ci ha passato più di 20 anni: «Una quindicina di anni fa la famiglia Sarchi portò una parte della produzione in Romania, dove la manodopera costa di meno». E lì è iniziato il calvario: «Abbiamo fatto tutti i lavori possibili perché le stabilimento non chiudesse: sa cosa significa tirare via a mano il fango dalle tende usate dai terremotati dell’Umbria?». Non è servito. Il 19 dicembre 2010 arriva il telegramma che comunica la cessata attività. E da il la all’occupazione. «Eravamo 29, ora siamo in 15 – racconta Rosa mentre prepara il caffè al secondo piano dello stabilimento – è difficile essere donne e fare questo, c’è la casa, i mariti e i figli da accudire». A casa hanno lasciato la loro vita: «Le famiglie si organizzano, alcune di noi portano i figli. I muri della cucina sono pieni dei loro disegni».
Dopo quasi un anno si cerca la normalità, ma nessuna molla: «Stiamo qui per impedire che qualcuno svuoti il magazzino: ci sono centinaia di migliaia di euro di materiali. Finché sono lì, noi continuiamo ad avere un futuro». Sarchi non vuole fallire per non perdere nuove commesse ministeriali, l’udienza del 15 dicembre, che il fallimento avrebbe dovuto sancirlo, è saltata per un difetto di notifica. «Tutto rimandato al 9 febbraio». Di mezzo c’è il Natale. «Quale Natale? Lo passeremo qui: stiamo difendendo 20 anni di lavoro e di vita».
Luciana sarebbe dovuta andare in pensione nel 2012: «Ma con la riforma Monti dovrò aspettare altri due anni e mezzo, dopo 40 anni di contributi». Tacconi Sud, un’Italia in miniatura: «Questa esperienza ha cambiato il nostro punto di vista -conclude Rosa – al chiuso di queste quattro mura abbiamo visto quello che sta accadendo lì fuori, nel Paese».

(Fonte: Leggo- The social press – articolo di Marco Pasciuti – 19.12.2011)
(Titolo originale: “Trenta donne senza paura”)

6 commenti

  1. Possiamo girare la lettera a qualche giornale? Se ci date il permesso la spediamo, per conoscenza, ai galoppini giornalisti.

  2. …che purtroppo, in quanto galoppini, non la pubblicheranno mai….ma come si dice “tentar non nuoce”.
    Un grande grazie invece alle “nostre” donne, lettera quanto mai azzeccata per toni e contenuti.

  3. La lettera e’ ottima. Scritta bene, completa e obiettiva. Divulghiamola il pou’ possibile. Se i giornalisti non la pubblicano, autotassiamoci tutti di qualche euro e pubblichiamola a pagamento, magari aggiungendo qualcosa per far capire ai nostri clienti e all’opinione pubblica che nessuno sara’ avvantaggiato dalla liberalizzazione, anzi. Credo che dobbiamo far pressione piu’ sull’opinione pubblica che sul “buon cuore” dei nostri attuali governanti che mi pare abbiano un gran pelo sullo stomaco, visto quello che stanno facendo, nonostante le lacrime di co………
    Inoltre, come ho gia’ letto su questo blog, dobbiamo spiegare ai nostri clienti la nostra situazione e le nostre ragioni. Educatamente, senza attaccare nessuno, ma cercando di far loro capire che una eventuale liberalizzazione porterebbe a un servizio peggiore e piu’ costoso.

  4. grazie. la stiamo già inviando da giorni a giornali, redazioni radio, ansa e via dicendo. sappiamo che non ne faranno l’uso sperato ma non possiamo di certo non provarci nemmeno. non è nel nostro spirito.

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