Guerra dei sessi sui taxi a Dakar: “via le taxi sisters”

Non parlate di donne, per carità, ad Aliou N’Diaye, tassista di Dakar (Senegal): non fa economia di un profondo e convintissimo disamore per loro, vorrebbe ridare a padri e mariti spietati diritti barbarici. Eppure sembra un tipo paciosissimo, ciabatte e boubou non proprio immacolato, sdraiato davanti alla sua unica proprietà, una Renault che avrà almeno 30 anni e tutti li dimostra; pudicamente ma inutilmente incipriata sotto innumerevoli strati di vernice gialla e nera, divisa ufficiale delle auto pubbliche. Perché non stoni l’hanno nascosta con altre «sorelle» in un angolo del piazzale di uno dei più lussuosi alberghi della capitale. Appena citi le «taxi sister» gli si arricciano i peli addosso, pare voglia azzannarti, si sfrena: «Quelle lì ci hanno rubato metà del lavoro, loro e le loro maledette bagnarole cinesi. E’ la solita vecchia storia, ci sono i privilegiati e ci sono i poveracci. Noi uomini del taxi siamo i poveracci, gente che da una vita arranca giorno e notte in questo traffico dannato… Poi arrivano loro, le raccomandate, le madame, con il posto riservato davanti all’albergo di lusso, e la macchina la regala lo Stato, nuova di zecca. Questa si chiama concorrenza sleale».
Giudizi così precisi, incisivi, epigrammatici, non possono che sopprimere le sfumature in una categoria passionale come i tassisti: i colleghi che lo ascoltano sembrano disposti a imprese sovrumane per vendicarsi di tali soperchierie. Cento metri più in là Mama Sakho e la sua automobilina nuova fiammante sembrano un’apparizione: di grazia, di modernità, di gioia solare. In jeans, foulard rosa e generoso décolleté, Mama dà una lucidata alla «Chery QQ» che sprizza simpatia nei suoi quattro metri di lunghezza.
L’ha riempita di peluche e palle luminose, pare che il cliente adori quest’aria di famiglia. Non ha molto tempo per lustrarla perché i suddetti clienti fanno a spintoni per salire: uomini d’affari locali, soprattutto, riconoscibilissimi dalla divisa, valigetta e soprattutto autorevole pancia, che in Senegal equivale all’estratto del conto in banca, è prova di autorevolezza e salute finanziaria. Fanno fatica a entrare negli angustissimi spazi di questa vetturetta cinese appena introdotta sul mercato africano, ma utilizzare una donna tassista oggi a Dakar fa chic. Ha ragione N’Dihaye: Mama ha lo spazio riservato, segnato da una grande scritta sull’asfalto «taxi sister».
Scusi, ma in che rapporto è con i colleghi maschi? Lei ridacchia impertinente: «C’è sempre qualcuno che vorrebbe che noi donne restassimo a casa a cucinare e a far le pulizie… e invece eccoci qua, e la gente ci guarda come fossimo delle star». E ingrana la prima con brio gettandosi nel continuo pigiarsi di auto di Piazza dell’Indipendenza. Sono in dieci, pochissime, ma bastano a una rivoluzione sociale: donne tassiste in una Paese musulmano. Per il loro debutto si era scomodata persino la moglie del presidente, Viviane Wade. Perché sono l’avanguardia di un avanzato progetto sociale: aprire all’altra metà del cielo africanamente derelitta un mestiere rigidamente maschile.
Il Fondo nazionale per la promozione dell’imprenditoria femminile le ha selezionate tra migliaia di candidate, fattesi sotto per incarnare questa forma di suffragettismo motorizzato. Le auto le ha fornite lo Stato in collaborazione con un importatore. Con un impegno: rimborsare entro cinque anni il prestito di sette milioni 350 mila franchi CFA. Sono 150 mila franchi al mese, l’equivalente di 230 euro. Le hanno messe sotto, le pioniere: lezioni di guida, corsi di gestione aziendale, karate. Per non lasciarle sole nelle acque del libero mercato, frase tecnica, al ministero hanno pensato di firmare una convenzione con gli alberghi di lusso: corse sicure, vista la clientela selezionata.
Apriti cielo! I colleghi si sono imbizzarriti per l’ineguaglianza dei sessi. Ma c’è dell’altro, non si esce mai illesi dalle battaglie per il progresso: le tassiste hanno scoperto che le loro auto costate 7 milioni di franchi sono vendute dallo stesso concessionario ai privati a 4 milioni 500 mila franchi. «Ci stanno usando come specchietto pubblicitario – strepitano -. Vogliono equipaggiare i 15 mila taxi della capitale con le loro auto nuove dotandole di tassametri per mettere fine alla pratica della tariffa libera. E poi assumeranno uomini come autisti». Così hanno smesso di pagare le rate del prestito: esigono che il ministero della Donna faccia ridurre il prezzo di acquisto. N’Diaye dà una sgrullata di spalle: «Che vi ho detto? Ci sono i privilegiati…».

Fonte: La Stampa.it – D.Quirico – 8/12/2009