Un tranquillo pomeriggio di inutile paura

Dalla collana "Raccontaxi" edizione speciale Natale 1999, ritroviamoci ancora una volta con Martino Convertini. Si tratta probabilmente di una storia vera, anche se lui non lo specifica. Spiegazione per i colleghi più giovani: durante la chiamata radiotaxi per via Chiesa Rossa 47 vengono snocciolate sigle che sembrano sigle autostradali. A1, a2, a3 significava "a 1 minuto", "a 2 minuti", "a 3 minuti", ecc.

E’ uno di quei mercoledì pomeriggio dedicati alla riunione di redazione del giornale. Sono circa le 16,45 quando ormai sciogliamo la riunione; ci si saluta per benino perchè è l’ultimo incontro prima delle vacanze: siamo in luglio. Sto per raggiungere il posteggio al seguito dell’amico e collega Roberto – in arte Gemelli 27 – quando, dall’altoparlante del radiotaxi, esce la melodica voce della speaker con una chiamata: "Chiesa Rossa 47 al bar. a1, a2. a3. a4. a5. Per Chiesa Rossa al bar. a7 a10 . Non c’è nessuno per Chiesa Rossa al bar?". Questa è la tipica chiamata "bidone" ma si sa, non sono i tempi migliori per il nostro lavoro, in luglio poi, tentiamo. Tanto più che l’idea di una coda al posteggio di almeno un’ora, dopo averne già passate due in redazione, non mi alletta. Presa la corsa  al volo come da Codice Stradale, arrivo e non trovo nessuno. Entro nel bar semichiuso e il gestore mi dice che i clienti stanno lì fuori e altro non sa.

Esco, i miei occhi si incrociano con due begli esemplari di ospiti extracomunitari con look regolarissimo: panza al vento, camicia mezza manica svolazzante, sandaletti e sacchetto con semi di zucca tra le mani e tra i denti mancanti, zazzera scompigliata. Mentre osservo gli elementi, il barista, che mi ha seguito verso l’uscio con un po’ di imbarazzata commozione, non ho capito se per il viaggio che mi sarei dovuto accollare o per la gioia di essersi liberato dei due avventori, mi sussurra che i due tipi debbono andare a pescare… A pescare?

E la canna e l’attrezzatura?

Ormai, tra l’osservare e il reagire, il duo si è già accomodato sull’auto. Allora, rispettoso del regola­mento, salendo in macchina, invito il passeggero seduto al mio fianco ad allacciare la cintura di sicu­rezza. Tutto compito il passeggero anteriore ha accettato l’invito. In un italiano molto stentato "Direzione Pavia" e io, in un inglese ancora più stentato: "Where?". "Bavia Noviglio, bescare, io dice dove tu gira". In marcia lungo il naviglio, interruzione per lavori quindi deviazione quartiere Gratosoglio, i due dialogano loscamente, o così mi pare, ridono tra loro. "Rozzano ponte di ferro" e il più loquace: "Non questo ponte, altro ponte". Zibido San Giacomo ennesimo ritornello: "Non questo ponte, direction Bavia! Pavia!". Arrivati al cimitero di Binasco, intravedo la Polstrada. Metto la freccia, per accostare e chiedere lumi su questa cava di pesca sportiva, quando vengo strattonato da quello alle mie spalle che mi intima di proseguire con cenni e biascicando: "Noi no permesso, no regolari". Così arriviamo fino al semaforo della Certosa di Pavia. E’ chiaro che hanno smarrito il "loro" ponte che attraversa il naviglio, non lo riconoscono più, i chilometri percorsi sono già tanti e allora… io propongo un dietro front.
Alla rotonda di Binasco mi indicano di girare in direzione di Abbiategrasso: non c’è anima viva. Il clima nell’abitacolo è teso, il tassametro è rovente, i passeggeri alternano pause di silenzio a frasi concitate. Nomi di paesi mai sentiti scorrono sulle insegne: Cozzano, Rosate, Morimondo, Vernate… Finalmente il cartello che indica Abbiategrasso. Il volto del passeggero seduto al mio fianco si illumi­na davanti a una sfilza di cartelli e, non so come, ritrova la strada e indica direzione Vigevano. Notan­do la mia indecisione, quasi avessero intuito la mia paura, come ad un prestigiatore, in una mano compare una mazzetta di banconote di grosso taglio accompagnata da una frase rassicurante. Mi invita a proseguire, che tutto va bene, di non preoccuparmi. Ormai rassegnato, proseguo la mia corsa in direzione Vigevano nel più totale silenzio, interrotto solo da qualche imprecazione reciproca. Poco prima del Ticino, un’esclamazione densa di euforia, degna del marinaio imbarcato sulle Caravelle di Colombo alla vista della terra, indica: "Gira. Gira. Destra. Destra."… Un viottolo che porta alla mac­chia di un bosco.

Non giro subito, esito un attimo un po’ impaurito dall’ora tarda per la pesca e per il luogo isolato. Percorse poche decine di metri un cancello si spalanca e uno dei due, mentre l’altro continua a sgranoc­chiare semi di zucca regolarmente sputacchiati fuori dal finestrino, schizza dalla macchina ed entra dal cancello di quel centro di pesca sportiva. Fermi, quasi indifferenti, attendiamo qualche minuto. Ritor­na il tipo impugnando una canna da pesca a chiedere l’importo della corsa e reagisce con disappunto davanti alla cifra, sostenendo che spesso viene qui, spendendo sempre molto meno. Allora gli faccio notare che il tragitto è stato indicato da lui e, dopo un po’ di battute, si dispone a trattare. Infine, ormai ridotto allo stremo dalla tensione prima, e dalla trattativa poi, accetto una cifra inferiore a quella segna­ta dal "ragioniere" (tassametro) accompagnata da una birra offerta da loro in segno di scuse (accettate) presso il chiosco, dove vedo che sono conosciuti da tutti gli addetti del centro e da qualche pescatore con i nomi di Mimo e Mario.

Mimo si sente in obbligo di regalarmi una trota in segno di amicizia.

Cerco di sottrarmi a questo rituale, ma egli sembra tenerci troppo anche se, gli spiego, risulterebbe un po’ "puzzolente" tenermi in macchina in piena estate una trota, anche se appena pescata, fino alla fine del mio turno di lavoro. Approfittando di una distrazione, con la scusa della toilette, mi congedo e rientro.

Rientrando per la Vigevanese e ripensando al tutto, intuisco l’equivoco nel quale sono caduti i due Albanesi: avevano confuso il Naviglio Pavese con il Naviglio Grande.

 di Martino Convertini