Bologna, il tassista e la notte di Halloween: «Giovani incattiviti con poca educazione, non si divertono»


corrieredibologna.corriere.it «Una clientela come quella di questo Halloween, mai». Roberto M., per tutti Redsox, il tassista di Bologna 5, a forza di affinare il mestiere, che prevede una buona parte di comprensione psicologica e spirito d’osservazione, potrebbe scrivere trattati sociologici sul popolo della notte. «Se tutti i giovani fossero quelli miei di stanotte l’umanità avrebbe le ore contate» ha scritto il primo novembre, riferendosi alla clientela di Halloween. «Non esageriamo, nessun trattato. Ho scritto anche che è stata una coincidenza sfortunata, la gioventù non è tutta così. Certo che stavolta, io che lavoro tutti i capodanni e Halloween, non mi sono divertito per niente».

Cosa è successo?
«Di solito si trovano clienti piacevoli e spiacevoli, in questa occasione solo i secondi. Giovani, tristemente ignoranti, sgarbati e poco educati. Nessun fatto grave, piuttosto una mancanza di feeling».

Per esempio?
«Gli ultimi del turno ormai a mattina inoltrata. Usciti dalla discoteca, li ho portati a casa a tappe. Hanno iniziato a litigare tra loro su chi doveva essere accompagnato per primo, chi doveva pagare alla fine. Litigio pesante, parole brutte, ci sono rimasto male. Una pessima chiusura di un’altrettanto pessima serata. Prima c’era stato quello che si preparava una sigaretta col tabacco, io che chiedevo di non sporcare per rispetto degli altri clienti e quello: “Smetto subito, però tassista non essere stronzo, io il taxi lo pago”. Quando rispondi così è finita, io mi zittisco e la corsa diventa triste».

Cosa la colpisce?
«Sono tutti incattiviti. Pretendono. Dicevano io pago in discoteca ma non mi sono divertito abbastanza. Erano arrabbiati. Un modo di vivere mediocre».

Alcol e sostanze che peso hanno?
«L’elemento alcolico c’è sempre, Halloween è un secondo capodanno. Vogliono strafare, alcuni sfogarsi. Se sei maleducato, l’alcol peggiora le cose. Qui non erano solo sballati, che c’erano ma nemmeno tanto. Mancava la base umana».

E gli adulti?
«Li portavo e andavo a riprenderli al concerto dei Cure. Ormai anziani come me, clienti extra Halloween. Persone educate, feeling e corse piacevoli come deve essere. Ho visto lo scarto generazionale, però non penso che i ragazzi di oggi facciano tutti schifo, e posso testimoniarlo con la mia esperienza».

Non salva neanche le maschere?
«Tristi pure quelle. I primi del turno al pomeriggio, adulti anche loro, erano gli unici travestiti in modo simpatico, ci avevano messo impegno a entrare nell’atmosfera da zombie. I giovani poca fantasia, qualche segno di cicatrice, sangue finto».

Perché lavora sempre in queste occasioni?
«Vivo le feste insieme ai clienti, partecipo al loro divertimento, scambio due chiacchiere. Si guadagna di più in certe sere, ma non lo fai per i soldi. Ma perché sei attratto da questo mondo, vedi umanità molto più interessante. A capodanno la mia compagna viene a lavorare con me, ci piace entrare in contatto con la clientela che festeggia. In un certo senso l’ho fatto anche stavolta. In fondo il nostro è uno studio quotidiano dell’umanità. Che esce fuori, più vera, di notte. Di giorno le persone sono chiuse e silenziose, mi annoio a morte».