I nuovi slogan dei tassisti contro Uber lo hanno “sorpreso”, ma “la loro rabbia è senza motivo“. Non chiede la liberalizzazione del mercato delle licenze, ma “un ammodernamento della legge sui trasporti, perché oggi non considera l’impatto delle nuove tecnologie“. E del discorso di Draghi al Senato, che ha blindato la riforma della concorrenza sui trasporti indicandola tra i capisaldi per una nuova azione di governo, ha apprezzato soprattutto la possibilità “che ci sia un esecutivo forte, capace di avere la spinta giusta per fare le riforme necessarie”.

Lorenzo Pireddu è il capo di Uber Italia. Classe 1983, ha assunto la guida della divisione italiana del colosso californiana nel 2019 come general manager. La sua nomina fa parte di un cambio radicale che Uber ha deciso a livello globale per mettersi alle spalle gli anni della gestione di Travis Kalanick, finita di nuovo sotto i riflettori dopo la pubblicazione degli Uber Files. Dopo giorni di no comment, Pireddu ha deciso di parlare dell’attuale situazione di Uber in Italia con Italian Tech.

Si aspettava un ritorno degli slogan e degli striscioni dei tassisti contro la sua azienda la scorsa settimana?
“Non lo nascondo, siamo sorpresi. Quello che ci colpisce di più sono le motivazioni. Queste proteste sono figlie di una paura legittima, legata a due cose: la prima è la possibile scomparsa del sistema delle licenze; la seconda è che le piattaforme come Uber possano prendere interamente il settore. Capiamo le paure, sono reali, ma va chiarita una cosa: noi abbiamo sempre creduto che la liberalizzazione del settore oggi non è una soluzione. Quindi la loro rabbia non ha motivo, è una reazione a una cosa che non abbiamo mai chiesto. Noi abbiamo solo chiesto un ammodernamento della legge del 1992, non il superamento del sistema licenze”.

Durante il suo discorso al Senato, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è stato molto esplicito sulla riforma della concorrenza. Ha chiesto ai partiti sostegno al governo, non alle proteste di piazza dei tassisti. Immagino abbia apprezzato le sue parole.
“Quello che apprezzo è che ci sia un governo che abbia la forza giusta per fare le riforme necessarie. Mi auguro che il Parlamento possa trovare la stabilità che serve a tutto il Paese in questo momento, per gestire le priorità e le sfide che sono sotto gli occhi di tutti”.

Perché è così importante per voi cambiare la legge sui trasporti del 1992?
“Semplice: è stata fatta prima che nascesse il web, gli smartphone, i telefonini. Costringe i servizi di Noleggio d’auto con conducente (Ncc) a rientrare in rimessa dopo ogni tratta. Ma non ha senso farlo se posso ricevere una richiesta via app, senza che torni in rimessa. Noi vogliamo che ci sia un’evoluzione del settore, come ce ne sono state tante in diversi settori che hanno interesse pubblico. Non si può non tenere conto delle evoluzioni tecnologiche. Ricalcando quanto dichiarato dal ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, il settore può evolvere in maniera tale che non ci siano né vincitori né vinti”.

Difficile pensare che i tassisti non la prendano come una sconfitta.
“Sulla necessità di cambiare quella legge ci hanno riflettuto diversi governi italiani, e molto prima che Uber nascesse. Non se ne è mai fatto nulla. Ma è evidente che è una necessità che la politica italiana sente a prescindere da Uber o altre piattaforme. Noi vogliamo avere regole chiare per il nostro lavoro, come vogliamo che i tassisti abbiano il loro mercato. Ripeto: né vincitori, né vinti”.

È convinto possa succedere?
“Sicuramente. Lo dicono i dati. C’è una domanda enorme sul trasporto pubblico. I nostri report interni raccontano che la domanda è cresciuta del 50% negli ultimi due anni. Quindi più alta rispetto al periodo pre Covid. C’è una richiesta enorme e un’offerta non adeguata a soddisfarla. Si potrebbe lavorare tutti, senza frizioni né accuse”.

La pubblicazione degli Uber Files ha gettato benzina sul fuoco delle proteste dei tassisti. Attività di lobbying aggressive sui governi occidentali, una gestione muscolare delle dinamiche di mercato. Lei è uno dei volti del nuovo corso di Uber, si sente di condannare quelle pratiche?
“Sì, e come società lo abbiamo già fatto. Le nostre dichiarazioni ufficiali riconoscono che quella gestione ha commesso degli errori. È inutile negare che ci siano stati comportamenti sbagliati. E non abbiamo alcuna remora a condannarli. Ricordiamo che si tratta di file e dichiarazioni che riguardano il periodo precedente al 2017, quindi prima della nomina del nuovo amministratore delegato”.

Come è cambiata Uber?
“Io ho aderito a un codice etico che rispetto e che mi rispecchia profondamente. Oggi la governance prevede un presidente del consiglio di amministrazione indipendente, è un’azienda letteralmente diversa: il 90% dei dipendenti attuali di Uber sono stati assunti dopo il 2017. Io stesso sono entrato in Uber dopo quel periodo. Quanto all’Italia il nostro team è stato completamente rinnovato dal 2018”.

Potrebbero accusarvi di un rinnovamento di facciata.
“Che l’azienda sia diversa lo racconta anche quello che stiamo facendo. È cambiato il nostro approccio al mercato. Oggi cerchiamo di collaborare con gli altri attori del settore. Abbiamo chiesto scusa per l’approccio usato con Uber Pop (la funzione che consentiva a chiunque di poter diventare un autista Uber, con tariffe assai inferiori a quelle dei taxi). Non sono solo parole, ma anche fatti come dimostra l’accordo con It-Taxi“.

Firmato a maggio, prevedeva l’integrazione della piattaforma del consorzio dei taxi italiani nell’app di Uber. Si farà?
“Certo, è pronto. Roma sarà il progetto pilota. Entro fine settimana sull’app di Uber sarà possibile prenotare anche un taxi del consorzio. Ad oggi ha oltre 12 mila auto in 87 città. È un’alleanza con quasi al metà dei taxi presenti in Italia e racconta più delle parole quanto siamo attivi nel cercare la collaborazione con il settore”.

Le proteste di piazza non hanno messo a rischio il progetto?
“No, abbiamo continuato a lavorare con It-Taxi in maniera decisa. Loro hanno deciso di lavorare con noi per costruire letteralmente un mondo nuovo. Oggi la maggior parte del settore vuole cambiare le cose. E noi siamo disposti a mettere la nostra tecnologia a disposizione. È un processo in cui stiamo investendo tempo e risorse”.