113mila euro: ecco quanto Deliveroo paga di imposte in Italia dove fattura 50 milioni di euro


msn.com “Deliveroo paga in Italia tutte le imposte dovute. I bilanci sono pubblici e verificabili” dice Matteo Sarzana minacciando querele nei confronti del presidente di Ubri, Enzo Ferrieri che chiedeva un tavolo per regolamentare il settore del delivery sottolineando come le multinazionali siano agevolate sul fronte fiscale e dall’applicazione di contratti a cottimo. Condizioni senza le quali “non sarebbe un business sostenibile“. Riflessioni che – per il momento – Sarzana non commenta: “Comprendiamo le difficoltà di alcuni ristoratori, ma questo non consente di dichiarare falsità come queste”.

In effetti il general manager di Deliveroo ha ragione: la società a responsabilità limitata registrata a Milano con un capitale sociale di 10mila euro – soggetta a coordinamento e direzione dall’inglese Roofoods Ltd – paga in Italia l’Irap. Nel 2019 ha versato 113.945 contro gli 11.098 euro l’anno prima (l’Ires è sempre a zero, ma la cifra sale a 343mila con la somma di imposte differenti e anticipate che nel 2018 era stata negativa per oltre un milione di euro) a fronte di 50 milioni di euro di ricavi. Si tratta, dunque, dell’equivalente di una Pmi solo che si tratta della filiale aperta nel 2015 da una multinazionale fondata nel 2013: un colosso valutate 7 miliardi di dollari che ha già raccolto oltre 1,7 miliardi di investimenti, incluso un ultimo round da 180 milioni di dollari che si aggiunge a quello da 575 milioni di dollari capitanato da Amazon.

Per l’azienda, però, il tema fiscale è cruciale. Da Milano negano con forza che ci sia un qualunque tipo di trasferimento di profitti verso la capogruppo e dal bilancio emerge come la controllata supporti la filiale italiana: alla voce ricavi, infatti, ci sono 14,6 milioni di ricavi inscritti come sostegno da parte della capogruppo. Un sostegno che non è certo gratis alla luce anche dei finanziamenti infragruppo: Deliveroo Srl ha un debito nei confronti di Roofods Ltd di 11.662.910 di euro stipulato il 10 settembre 2018 a un tasso del 6,5%. Un prezzo non certo di favore considerando che diverse capogruppo sostengono le controllate a costo zero e che a settembre 2018 – rileva l’Abi – “il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese è risultato pari a 1,41%”. Non proprio un regalo, quindi considerando che nel 2019 sono stati pagati interessi per 487mila euro.

Di certo i numeri sollevano diversi interrogativi sul modello di business del delivery anche perché all’Irap versata da Deliveroo fanno eco i bilanci 2019 di Foodihno Srl (la società italiana che gestisce la spagnola Glovo) dove alla voce imposte versate c’è una casella bianca e quello di Uber Italy Srl che invece ha pagato 193mila euro.

Peraltro Uber – che a differenze delle altre due spiega di svolgere solo “attività di marketing e fornisce servizi di supporto a favore di Uber BV e Uber Portier BV” – ha versato 193mila euro di imposte a fronte di 403mila di utile ante imposte su un fatturato complessivo di 5,3 milioni di euro; Deliveroo, invece, ha pagato 113mila euro per un risultato ante imposte di 503mila (l’anno prima erano stati 386mila euro su un fatturato complessivo di 21,8 milioni di euro, compresi anche gli oltre 7 milioni di euro versati dalla capogruppo). Per il fisco italiano non va certo meglio con Glovo che nel 2019 ha perso 12,8 milioni di euro a fronte di ricavi per 35,6 millioni.

Tradotto: i tre big del delivery fatturano insieme oltre 100 milioni di euro ne perdono 12 milioni di euro e lasciano al fisco poco più di 300mila euro. E questo nonostante un modello alimentato soprattutto dalla vertiginose commissioni che versano i ristoranti partner e fondato sulla disponibilità di lavoratori a cottimo.

Basti pensare che per apparire in alto nelle ricerche dei clienti non servono recensioni positive, ma bisogna pagare l’inserzione al fornitore del servizio. Discorso identico per le promozioni che si susseguono settimanalmente: ai vari delivery servono per attrarre – o trattenere – sulla piattaforma i clienti, ma sono attività promozionali interamente finanziate da quei ristoratori che in piena pandemia non hanno registrato alcun calo delle commissioni.

Peraltro, nel caso di Deliveroo si sottolinea nella relazione di bilancio come le attività a più alto valore aggiunte siano svolte direttamente dalla capogruppo che “dispone di un team di ingegneri altamente qualificato impiegato nello sviluppo di tecnologie innovative e di livello mondiale”. Come a dire che i benefici per l’Italia sono solo riflessi. E d’altra parte la ricerca e la tecnologia non sono compito degli 168 dipendenti della filiale italiana chiamati a occuparsi “dello sviluppo delle sinergie con i ristoranti partner, dell’area marketing e dell’area amministrativa”. Anche dal punto di vista finanziario le ricadute sul sistema italiano sono ridotte all’osso dal momento che “la società è supportata dalla sua capogruppo” al tasso del 6,5%. E d’altra parte è proprio il gruppo a implementare le “diverse strategie” di crescita, lasciando l’esecuzione alle filiali locali.