Roma, la crisi nera dei tassisti: “Noi, ridotti alla fame”


roma.repubblica.it Niente turismo. Clienti dei ristoranti e ospiti degli alberghi al lumicino. Smart working e videoconferenze. Per i tassisti significa una cosa sola: “Siamo alla fame”. I soldi elargiti dall’Inps, due contributi da 600 euro per le partite Iva, e gli 800 euro dalla Regione Lazio sono già bruciati. E loro adesso ne chiedono altri. Stamattina dalle 9 saranno davanti alla sede della giunta regionale per chiederle di aprire di nuovo i rubinetti.

Una manifestazione dettata dalla disperazione, organizzata dalla base, al di fuori di ogni concertazione con i sindacati. Che però sanno. E condividono. “Siamo una delle categorie più colpite dal Covid – racconta Alessandro Atzeni, Fit Cisl – Abbiamo turni demenziali, un giorno sì e un giorno no, e incassiamo dai 700 ai mille euro al mese. Le spese però rimangono le stesse: tra contributi Inps, assicurazione, tasse, quota alla centrale taxi, manutenzione della vettura, partono 5-600 euro al mese, più la benzina. È chiaro che così non ce la facciamo “.

“Ci hanno lasciato soli – protestano chiedendo l’anonimato – abbiamo dovuto accettare le 500 mascherine offerte da CasaPound, le avremmo accettate da chiunque. Abbiamo provveduto a nostre spese alla sanificazione e installato le barriere di separazione in plexiglass. Ma non si possono far le nozze con i fichi secchi. I clienti non ci sono. I primi a cedere sono stati i sostituti alla guida che hanno restituito la vettura”.

“Roma è morta – dice Nicola Di Giacobbe, Unica Taxi Cgil – non ci sono spettacoli, non ci sono congressi, non ci sono uomini d’affari in movimento, non ci sono fiere. Il Covid deve fare il suo percorso, è chiaro. Ma noi oggi ci troviamo con il 70% del potenziale di trasporto fermo. Ci sono 8.000 taxi. Un numero tarato su una capitale di 5 milioni di persone in movimento. Ma adesso a Roma ne basterebbero 1.500. Per lavorare noi tassisti aspettiamo la sera, dopo le 21, quando i mezzi pubblici non si trovano più”.

Pensano a nuove condizioni di lavoro i sindacati, dove sia possibile sviluppare nuovi bacini di utenza, un tempo riservati al trasporto di linea. ” Altrimenti non abbiamo possibilità di sopravvivenza ” , insiste Di Giacobbe.

“Il lavoro è pochissimo – conferma anche Loreno Bittarelli, storico presidente della centrale taxi 3570 – e i costi rimangono gli stessi. Abbiamo speso 200 euro a testa per il divisorio in plexiglass, abbiamo installato in sede 5 colonnine per la sanificazione della vettura, certificate dal ministero della Sanità, ma gli introiti sono più che dimezzati. Per questo chiediamo di usufruire del decreto legislativo 422 del 1997, che dà la possibilità ai taxi di svolgere servizi integrativi, per esempio per le scuole, gli anziani, o altre categorie di lavoratori e cittadini, alla stessa stregua del trasporto pubblico locale. Bisogna cercare altre modalità, considerando il contesto nel quale ci troviamo”.