California: Uber e Lyft con le spalle al muro

lautomobile.aci.it Uber, Lyft e le altre compagnie che si occupano di servizi come i taxi con auto private o le consegne di cibo in California sono sul piede di guerra. Nonostante un cospicuo impegno – anche economico – non sono riuscite a impedire l’approvazione da parte della camera dello stato della Assembly Bill 5. La legge – che ora passa al senato per poi essere firmata dal governatore Gavin Newsom, il quale dal canto suo l’ha sempre appoggiata – prevede che i lavoratori della cosiddetta “gig economy” siano considerati a tutti gli effetti dei dipendenti. Una decisione che, se confermata, rischia di costare alle aziende milioni di dollari e di aprire la strada anche a una legislazione simile in altri stati.

Secondo la AB5, quindi, chi guida le auto per Uber o Lyft per esempio, non può essere considerato un “contractor”, cioè un semplice collaboratore, ma un dipendente in piena regola: con diritto a salario minimo, assicurazione sanitaria, giorni di malattia pagati e protezione sindacale.

Muro contro muro
Una rivoluzione che potrebbe entrare in vigore dal 2020 ma che Uber e le altre aziende del settore si preparano a contrastare con tutte le loro forze. “La legge – ha subito detto in televisione Tony West, il capo dell’area legale di Uber – non specifica affatto che i nostri dipendenti siano e debbano essere equiparati a dipendenti. Nel testo non si parla di conducenti del ride hailing”.

Le aziende hanno immediatamente dipinto scenari foschi in caso di approvazione definitiva e quindi di entrata in vigore della AB5. Si parla di rincari per il pubblico pari al 30%, che allineerebbero in molti casi il costo di un viaggio su un’auto privata a una corsa in taxi. “E alla fine –  ha detto sempre West – quelli che pagheranno le conseguenze di questa legge saranno proprio i conducenti”.

Lotta aperta
Lo spettro dell’Assembly Bill 5 è tale che Uber e Lyft  hanno deciso di sborsare 30 milioni ciascuna per sostenere una proposta alternativa, nonostante il fatto che – nel secondo trimestre 2019 – abbiano già registrato perdite rispettivamente per 5,23 miliardi e 644,2 milioni di dollari

A fianco dei grandi del ride hailing si è schierata DoorDash, società californiana del food delivery (simile al servizio Uber Eats). La cifra che le tre aziende stanno sborsando (complessivamente 90 milioni di dollari) è la seconda più alta mai spesa in California per campagne contro leggi in fase di approvazione.

Controproposta
Le società hanno anche avanzato una controproposta comune nella quale si continua a classificare gli autisti come collaboratori ma con più tutele: salario minimo garantito (21 dollari l’ora, calcolando solo il tempo effettivo in auto, non l’attesa tra le corse), retribuzione dei giorni di malattia e alcuni diritti alla rappresentanza sindacale, anche se non la contrattazione collettiva, che è regolata a livello federale e non ricade nella legge californiana.

Braccio di ferro

Le aziende del ride hailing sostengono da sempre che i loro autisti, avendo libertà di scegliersi l’orario e di lavorare con altre aziende, sono equiparabili a freelance, non dipendenti. Gli interessati non sono dello stesso parere e le rivendicazioni, negli Usa e in Europa, si sono moltiplicate: molti hanno chiesto ferie e straordinari pagati, rimborso per il carburante e manutenzione dell’auto, assicurazione e altri benefici. L’anno scorso un tribunale di Parigi ha dato ragione a Uber affermando che i suoi autisti sono lavoratori autonomi; al contrario, un tribunale londinese ha ordinato di contrattualizzare i driver come dipendenti. La società ha presentato ricorso. A maggio centinaia di autisti di entrambel e aziende sono scesi in piazza a Los Angeles e San Francisco per chiedere maggiori diritti.

Uber e Lyft hanno anche sostenuto, di fronte a una richiesta dell’amministrazione di Chicago, nell’Illinois, che non possono svelare i nomi dei loro autisti perché rappresentano un “segreto industriale” e rischiano di essere oggetto di “poaching” (sottrazione dei talenti) da parte della concorrenza. Per i sindacati è solo un tentativo di evitare che i lavoratori si uniscano e si muovano compatti nella richiesta di maggiori diritti.

Freelance o dipendente

La California ha basato la propria legge in particolare su una sentenza dello scorso anno della Corte suprema di Sacramento (caso Dynamex) che ha fissato i parametri in base ai quali un lavoratore si può considerare freelance oppure dipendente, una sorta di abc per ogni settore della gig economy. Secondo i giudici, fare l’autista per Uber e Lyft non sarebbe un semplice “lavoretto”.

La questione è entrata anche nella corsa alla Casa Bianca in vista delle elezioni di novembre 2020. Quattro  dei candidati democratici attualmente in attesa delle primarie del partito, Bernie Sanders, Elizabeth Warren, Kamala Harris e Peter Buttigieg, hanno chiesto a più riprese maggiori tutele per i conducenti di Uber e Lyft e più in generale per i lavoratori temporanei.


Un commento

  1. certo che la corsa costerebbe il 30% in piu’. E’ giusto quanto occorre per assicurare le giuste tutele a cui ha diritto un lavoratore.

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