Uber è diretta in Borsa, depositata la richiesta per l’Ipo

Secondo indiscrezioni di Reuters, la società di ride hailing avrebbe presentato alla Security Exchange Commission la documentazione necessaria per la quotazione in Borsa. L’affare Khashoggi, intanto, crea qualche imbarazzo. ictbusiness.it

New York Stock Exchange, Wall street, Manhattan, New York, USA

Uber è sempre più vicina alla quotazione in Borsa, ora che la richiesta di quotazione tramite  Initial Public Offering (Ipo) è stata depositata. O sarebbe stata, perché di rumors si tratta, sebbene essendo Reuters la fonte si potrebbe quasi evitare il condizionale. Tre “persone informate sui fatti” hanno svelato all’agenzia stampa che la società di ride hailing avrebbe presentato la richiesta di Ipo alla Securities and Exchange Commission statunitense. E di analogo contenuto è la soffiata fatta da una fonte confidenziale a Bloomberg nei giorni scorsi. 

D’altra parte dei progetti Uber a Wall Street si chiacchiera da più di un anno e si è parlato recentemente con l’indicazione di una valutazione da 120 miliardi di dollari e di un debutto atteso entro la prima metà del 2019. Ora la quotazione appare più vicina, tanto da precedere probabilmente quella di Lyft, altra società di San Francisco che ha bussato alla porta della Sec per ottenere il permesso di Initial Public Offering.

Nel suo caso, la richiesta è stata comunicata ufficialmente, anche se non è dato sapere né la quantità di azioni che saranno messe sul mercato né il loro costo. Spesso indicata come rivale di Uber (con cui condivide la città Natale, San Francisco), Lyft ha un modello di business simile, proponendo un servizio di condivisione dei passaggi in auto fra privati. La sua valutazione si aggira però intorno ai 15 miliardi di dollari, mentre quella di Uber è di quasi otto volte tanto.  In tutt’altre geografie, la russa Yandex.Taxi è anch’essa predisposta alla quotazione nel corso del 2019.

Ma quanto varrà l’Ipo di Uber? Le aspettative di debutto secondo il Wall Street Journal si aggirano intorno ai 120 miliardi di dollari, cifra che attribuirebbe alla società un valore triplo di quello di un produttore di automobili come Ford. Varata nel 2009, da allora l’azienda è cresciuta attraverso 21 round di finanziamento per un totale di oltre 24 miliardi di dollari di “bottino”, a cui hanno contribuito in particolare Toyota Motor Corporation, Softbank Vision Fund e il fondo d’investimento della famiglia reale saudita. La vicinanza ai sospettati mittenti dell’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, al di là di qualsiasi considerazione “politica”, è segno dei grandissimi interessi economici ruotanti intorno ai servizi di trasporto della sharing economy e ai progetti di sperimentazione della guida driverless (per cui Uber è ancora uno dei grandi protagonisti, nonostante il recente stop seguito all’incidente mortale di Tempe, in Arizona).

Nel 2016 il Public Investment Fund dell’Arabia Saudita ha scommesso su Uber 3,5 miliardi di dollari, facendo entrare il proprio direttore generale,  Yasir Al Rumayyan, nel Cda dell’azienda californiana. In equilibrio sullo scomodo legame, in conferenza stampa il Ceo di Uber, Dara Khosrowshahi, si è definito “ansioso di capire di più” a proposito di un “atto orrendo” come l’uccisione di Khashoggi, ma a proposito di un’eventuale presa di distanze ha detto che “finché non ne sapremo di più, non siamo nella posizione di poter agire in un senso o nell’altro”.


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