«In vista dello sbarco in Borsa Uber pronta a cambiare pelle»

ilsole24ore.com «Uber deve crescere nel modo giusto. Non è solo importante l’aumento del fatturato. Ma anche la reputazione». Dara Khosrowshahi (si pronuncia Cosrousciài), manager americano di origine iraniana è seduto da un anno sulla poltrona di amministratore delegato di Uber. Figlio di rifugiati, una delle famiglie più ricche di Teheran fuggita dal paese nel 1978 ai tempi della rivoluzione islamica, a 49 anni è diventato uno dei manager più pagati della Silicon Valley. 

Un passato da analista finanziario per la banca d’investimento Allen & C., ha costruito la sua fama manageriale ai vertici di Expedia, di cui è stato amministratore delegato per una decina d’anni, facendola diventare una delle più grandi agenzie di viaggio online al mondo, con sedi diffuse in oltre 60 nazioni, e un fatturato passato dai 2,2 miliardi di dollari, quando ha cominciato il suo lavoro, agli 8,7 miliardi del 2016.

Khosrowshahi ha preso in mano Uber dopo un anno terribile, in cui la società di ride sharing è stata travolta da una serie di scandali legati a organizzazione del lavoro, rispetto della diversità, con casi di molestie sessuali che ne hanno danneggiato enormemente l’immagine portando alle dimissioni il suo predecessore, il co-fondatore Travis Kalanick, che ha lasciato la carica di ceo ma è rimasto lunghi mesi a battagliare nel board per il controllo della società.

Alla fine ha vinto il manager iraniano. Lo sguardo profondo e calmo, in jeans e camicia, ieri ha presentato a New York le novità tecnologiche che Uber è pronta a introdurre nelle prossime settimane. La parola d’ordine è sicurezza, declinata con nuove funzioni nella app. «È solo il primo anno. Per me alla guida di Uber è solo l’inizio del viaggio». Khosrowshahi per accettare la sfida di far ripartire l’automobile ammaccata di Uber sembra abbia ricevuto un ingaggio di 200 milioni di dollari. A cui ogni mese aggiunge uno stipendio di 8 milioni. La prima cosa che ha fatto in questi mesi è stata quella di cambiare la «cultura aziendale da Game of Thrones», come l’ha definita qualcuno, che ha caratterizzato la tormentata gestione Kalanick.

«Nel mio primo anno come ceo una delle prime cose che ho cercato di fare è ricreare la cultura aziendale di Uber. Capire quello che è davvero importante per noi. Ho chiesto a tutti i dipendenti: che cosa volete che Uber rappresenti? La conclusione condivisa è che l’azienda faccia le cose giuste per crescere». In questa direzione vanno alcune scelte degli ultimi mesi come la cessione degli asset nel sudest asiatico, una partecipazione da 2 miliardi di dollari nella concorrente Grab. «Noi siamo e dobbiamo continuare a essere la società leader nel mondo per la mobilità condivisa. In termini di innovazione, di servizio e anche di brand awareness e reputazione. Le nuove modalità sulla sicurezza fanno parte di questa nuova strategia per crescere meglio».

Ora lo attendono altre sfide che si preannunciano epocali per la società hi-tech di San Francisco, che per prima ha cambiato il modo di muoversi con gli smartphone: portare Uber a produrre utili, cosa che dovrebbe accadere nel breve termine, e quotare la società californiana a Wall Street, con un’Ipo, molto attesa, entro la fine del 2019. Ipo che rischia di diventare il maggiore collocamento azionario di sempre, considerando la valutazione attuale: Uber ha appena ricevuto 500 milioni di dollari di investimento da Toyota per una partnership legata allo sviluppo dell’auto a guida autonoma. L’assegno staccato da Toyota ha fatto salire ulteriormente il valore di Uber che ha raggiunto i 76 miliardi di dollari.

Va nella direzione della quotazione anche la recente nomina a chief financial officer di Nelson J. Chai, 53 anni, ex executive di Merrill Lynch, che seguirà da vicino tutto il processo per la quotazione. Non è l’unico arrivo: Khosrowshahi ha nominato diversi top manager negli ultimi mesi, compreso il nuovo chief operating officer, Barney Harford.

Il ceo di Uber si sta concentrando sulla creazione di valore in azienda. Che cresce, continua ad aumentare nel fatturato, ma continua anche a produrre perdite e chiudere i bilanci in rosso. Perdite che gli investitori si sono accollati in questi anni in attesa della quotazione e del ritorno che ci sarà nel prossimo futuro. «Penso che il vero compromesso sarà tra redditività e crescita, specialmente come società quotata», ha detto di recente Khosrowshahi. Nel secondo trimestre il passivo di Uber è stato di 891 milioni di dollari, in calo rispetto agli 1,1 miliardi dello scorso anno. Le entrate dalle corse delle auto sono state di 2,8 miliardi, al netto delle commissioni pagate agli autisti, con un incremento record del 63%.

Uber ha appena acquisito Jump, startup di ebike, un’operazione da 200 milioni di dollari. L’obiettivo è di introdurre i monopattini elettrici Lime nell’offerta di mobilità della app. Cresce, intanto, a doppia cifra il fatturato di UberEat, la controllata che opera nella consegna di pasti a domicilio. La società californiana punta anche sullo sviluppo di Uber Freight, l’app di mobilità condivisa per la logistica, che coinvolge camion e container. Insomma l’idea è quella di creare una piattaforma globale a 360° per la mobilità del futuro.

Il mercato della mobilità condivisa mondiale vale ormai 6mila miliardi di dollari l’anno. I player sono tanti, nelle varie nazioni. E nessuna società può pensare di riuscire ad operare da leader in tutto il mondo. Neanche Uber lo pensa più. «Come Uber vogliamo diventare la piattaforma per i trasporti più sicura del pianeta. E diventare lo standard di servizio per gli altri player», il benchmark di riferimento per il settore.

«Credo – conclude il manager di origine iraniana – nei processi, nelle persone e nella tecnologia. Continuiamo ad innovare. Alcune cose le vedete già. Altre, che vedrete tra un po’ di tempo, sono il genere di cose per cui vi verrà da dire: «No, non ci credo che riuscite a fare questo».


Un commento

  1. Sì vabbè sempre tutte chiacchiere e distintivo, ma le tasse e contributi sociali ai drivers intendono pagarle sì o no?
    E poi *be* eat che cresce a doppia cifra? Ah Ah Ah! Ma crede davvero di ipnotizzare gli “investitori” come gli incantatori di serpenti decantandogli il “business” di quei poveri disgraziati in bici che si ammazzano per 2 euro sotto sole/pioggia/neve per consegnare pizze ai figli di papà?
    E perchè il Sole è così solerte a informarci su un brand che in Italia ha fatto la collezione di condanne per concorrenza sleale?

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