Niccolò Bettarini, parla il tassista eroe: “Come ho incastrato gli aggressori”

ilgiorno.it Se lo chiami «eroe», lui si stringe nelle spalle e ti risponde: «Ho fatto semplicemente il mio dovere: ho messo in pratica i valori che mi hanno insegnato i miei genitori, lo rifarei altre cento volte». A. A. ha 37 anni e da 15 fa il tassista di notte per il 4040: è statolui a incastrare due dei presunti aggressori di Niccolò Bettarini davanti alla discoteca Old Fashion, gli albanesi A. A. e A. J. (del quale ieri l’avvocato Daniele Barelli ha chiesto la scarcerazione al Tribunale del Riesame), dopo averli accompagnati ad Affori pochi minuti dopo il violentissimo raid a coltellate.

A., torniamo alle 5.10 del primo luglio.
«Sono in giro in macchina dalle parti della Triennale quando mi accorgo del gran trambusto: ci sono sei-sette auto della polizia e i sanitari del 118 che stanno prestando i primi soccorsi a un ragazzo steso a terra. Rallento per capire cosa sia successo e vedo qualcosa che non dimenticherò mai: c’è una ragazza che piange disperata, da lontano mi sembra che indossi dei leggings di colore rosso ma poi metto a fuoco e mi accorgo che ha le gambe completamente coperte di sangue. Mi dico “Quel ragazzo deve essere messo veramente male…”. Riparto in direzione corso Sempione, il mio turno termina alle 6 e penso “Se non prendo altre corse nel giro dei prossimi minuti, me ne torno a casa a dormire…”. Passa qualche secondo, e all’altezza di via Canova mi arriva una chiamata da radiotaxi da via Monti 42. Ci vado, convinto che il cliente sia qualcuno che abita lì e che vuole che lo accompagni in stazione o all’aeroporto, e mi metto in attesa. Non esce nessuno dal palazzo, ma in compenso si avvicinano alla macchina una ragazza e due ragazzi: sono loro che hanno telefonato per avere un taxi, capisco subito».

E poi cosa succede?
«La ragazza si siede davanti, i due dietro. Noto subito che uno ha la maglietta strappata, e allora mi viene in mente una frase che avevo sentito poco prima, pronunciata ad alta voce da uno dei poliziotti che erano davanti all’Old Fashion: “Ha la maglia strappata e si è allontanato lungo il fosso”. L’altro ragazzo ha pure lui la maglietta un po’ malandata e una fasciatura al braccio intrisa di sangue. Inizio a sospettare che siano in qualche modo coinvolti nell’episodio di viale Alemagna e così, quando la ragazza mi dice “Ci porti ad Affori, per favore”, io decido di fare inversione e di passare apposta davanti all’Old Fashion per vedere la loro reazione».

E cosa fanno?
«Arrivo in zona e sono ancora tutti lì. Rallento fino a fermarmi e abbasso i due finestrini di sinistra: a quel punto, i due ragazzi si ritraggono all’improvviso appiattendosi sui sedili, si mettono le mani davanti alla faccia e si girano verso destra mormorando qualcosa del tipo “Devono essersi menati…”. In quei secondi spero che qualcuno della polizia si avvicini per dare un’occhiata all’interno del taxi, ma purtroppo non succede: sono tutti impegnati sul posto. Così riparto in direzione Affori. Durante il tragitto, sento il ragazzo con la fasciatura che prima in una lingua straniera e poi in italiano dice all’altro “Ti giuro, solo per (non ricordo il nome che ha pronunciato) posso ammazzare, non la devono guardare e toccare… Io ti giuro, non lo so, a un certo punto ho cominciato a tirare a destra e a sinistra” (A. ha ripetuto le stesse identiche parole qualche ora dopo agli investigatori di Volanti e Mobile, ndr). Nessuno dei due mi sembra lucido, a un tratto uno fa all’altro “Io ora pippo…”, ma la ragazza si gira di scatto e li rimprovera “Ragazzi, adesso basta”».

Dove li lascia?
«In via Z., ad Affori. All’arrivo c’è un altro uomo, contattato telefonicamente dalla ragazza durante il tragitto: mi paga la corsa e mi saluta gentilmente. Poi si rivolge al ragazzo con la fasciatura e gli ordina “Toglila subito”. Li vedo allontanarsi verso piazza Santa Giustina: i due si sfilano le magliette e restano a petto nudo a parlare con altre persone».

E lei cosa fa a quel punto?
«Chiamo immediatamente il 112 e racconto quello che è successo e quali siano i miei sospetti. L’operatore al telefono mi dice di tenere d’occhio i tre stando a distanza, e così faccio fino all’arrivo della polizia. Indico agli agenti la direzione che hanno preso e poi, su loro indicazione, mi allontano. “La ricontattiamo più tardi”, mi dicono».

E così è.
«Sì, poco dopo mi ritrovo in Questura. E soltanto lì scopro dagli amici del ragazzo accoltellato che si tratta del figlio di Bettarini e Simona Ventura».

In tanti l’hanno definita “eroe”. Lei si sente tale?
«Mi sento come una persona che ha fatto il suo dovere e che rifarebbe la stessa cosa altre cento volte. Mi sono soltanto comportato da buon cittadino che non volta la testa dall’altra parte, come ho sempre fatto nella mia vita. Quando ho avuto il sospetto che quei ragazzi potessero essere gli aggressori, ho ripensato alle gambe coperte di sangue di quella ragazza e la mente è subito corsa alle mie figlie. In che mondo rischiano di vivere, mi sono detto, se tutti ci facciamo gli affari nostri? Non ho avuto la minima esitazione».

di ANNA GIORGI e NICOLA PALMA


3 commenti

  1. Grandeeeeeeeee!!! ECCOLI GLI ESEMPI!!! Una abbraccio anche a Simona e Stefano!!!

  2. Tutta la mia stima al collega che svolge un lavoro sempre più complicato e sempre meno tutelato. Nemmeno il tempo di leggere un articolo su un collega che rende onore al nostro ruolo sociale e già mi imbatto in un’altra articolo che mi informa che Torino sarà la prima città italiana (forse europea mi viene da pensare) in cui verranno sperimentate le vetture a guida autonoma, in pieno centro. Ovviamente in collaborazione con FCA e Daimler.

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