Uber, ora basta caos un manager iraniano per portare il gruppo in Borsa entro il 2018

Quando Dara Khosrowshahi, appena nominato ceo di Uber, ha varcato il 30 agosto la soglia del corporate headquarters a San Francisco, la prima cosa che ha detto ai suoi collaboratori è stata: «Ragazzi, non è possibile perpetuare questo paradosso: siamo una compagnia che è nata per semplificare la vita alla gente, che si prende cura sia della clientela che dei suoi autisti studiando sempre nuove semplificazione e innovazioni nell’uso della app.Non è possibile che invece siamo uno dei gruppi più ingovernabili, più tormentati, più divisi al proprio interno, insomma più caotici del mondo».

Anche perché, ed è il primo pensiero del nuovo capo, ora c’è da pensare alla quotazione in Borsa e alle promesse della vecchia gestione di andare all’Ipo entro il 2018: qualsiasi ritardo comprometterebbe ulteriormente il valore della regina della sharing economy, un’azienda che stava per sfondare il tetto (virtuale) dei 70 miliardi di dollari, livello dal quale sembra che i traumi societari abbiano già sottratto una decina di miliardi.

Due fondi che hanno investito in Uber, Vanguard e Hartford, hanno abbassato le loro valutazioni del 15%. È indispensabile, ha confidato Khosrowshahi, fare questo passo verso lo stock market soprattutto per rinfrancare il morale della “truppa”. Ma affacciarsi alla Borsa con valori in picchiata dopo aver raggiunto tali picchi, equivarrebbe a buttare via il biglietto vincente della lotteria. Khosrowshahi,

48 anni, iraniano riparato da piccolo in America con la sua famiglia di imprenditori al momento della caduta dello scià, quando i rivoluzionari khomeinisti nazionalizzarono l’azienda del padre (1979), ha battuto sul filo di lana la concorrenza di due capi azienda più blasonati di lui: Jeff Immelt, appena pensionato dalla General Electric che avrebbe vissuto volentieri una seconda giovinezza in un’azienda brillante e dinamica, e Meg Whitman, la signora della Silicon Valley oggi alla guida di Hp dopo aver portato al successo eBay.

Con motivazioni variamente articolate, i due sono usciti dalla competizione con onore (si è fatto credere che si siano autoesclusi insomma) ma la verità è che gli head-hunter , che hanno lavorato quattro mesi per sciogliere il rebus, hanno preferito un manager più giovane e meno prestigioso ma più fresco e peraltro con un curriculum di tutto rispetto: ingegnere elettronico laureato all’esclusiva Brown University di Providence, Rhode Island, negli ultimi 12 anni ha condotto Expedia, l’agenzia di viaggi online con sede a Seattle, portandola a quadruplicare il fatturato e più che raddoppiare i profitti, con tanto di acquisizioni di peso come Orbitz e Travelocity, due aziende che Khosrowshahi ha perfettamente integrato nella compagnia di cui era ceo.

Prima ancora aveva lavorato come chief financial officer alla Iac, conglomerato di servizi in rete posseduto da Barry Diller, e in precedenza come banchiere d’investimento alla Allen & Co. di New York. Insomma un background composito e completo, sicuramente più solido del suo precessore, estromesso dal board in aprile al culmine delle polemiche, il campione di surf Travis Kalanick, che aveva avuto l’intuizione di co-fondare nel 2009 Uber (con l’amico canadese Garrett Camp che ci aveva messo i soldi e la capacità imprenditoriale) ma poi si era dimostrato clamorosamente inadeguato.

Ed era sprofondato in un pasticcio ineguagliabile: scandali sessuali (per avance inopportune sono stati licenziati 20 dipendenti in due anni compresi il direttore generale e il capo della finanza), liti con i fondi d’investimento e gli altri azionisti, addirittura le ire dell’uomo forte dell’Arabia Saudita, il principe ereditario Mohammad bin Salman Al Saud, che dopo aver investito 3,5 miliardi nell’azienda (di cui detiene il 5% virtuale) aveva fatto sapere nel 2016 che si doveva al più presto cambiare il comandante. C’è di peggio: su Uber è tuttora aperta un’inchiesta per capire se ha violato il Foreign Corrupt Practices Act distribuendo mazzette a una serie di dignitari di vari Paesi (nessuno in Europa), e un’altra indagine sempre del Department of Justice che sta cercando di capire se Kalanick ha mostrato ai regolatori versioni diverse della app per superare i sospetti di violazioni antitrust.

Per finire l’ horror show , è pendente una causa intentata dalla Waymo, che sviluppa le tecnologie per l’auto senza pilota del gruppo Google, che accusa Uber di aver intenzionalmente comprato un’altra startup, Ottomotto, che aveva rubato un brevetto della stessa Waymo per la self-driving car . Un processo, quest’ultimo, fissato per ottobre. Nel suo piccolo, per finire il cahier des doleances , anche l’Italia fa la sua parte: il 7 aprile 2017 il giudice del tribunale di Roma Alfredo Landi aveva disposto la chiusura definitiva di Uber nel nostro Paese con l’accusa di concorrenza sleale dando ragione ai tassisti.

Il provvedimento è rientrato il 26 maggio quando lo tribunale l’ha revocato limitatamente però al servizio di base (UberBlack) tagliando di netto la possibilità di nuovi servizi come UberPop o UberX (quelli che consentono anche ai privati cittadini di improvvisarsi autisti di Uber). Se si aggiungono le decine di proteste contro l’azienda californiana mosse tuttora dai tasssti di tutto il mondo (compresi quelli italiani che non mollano l’osso forti, pare, di una legge del 1992 che regolamenta diversamente gli Ncc) non stupisce che sul capo di Kalanick si sia rovesciata una tempesta perfetta in grado di tramortire chiunque.

Né la situazione si è composta dopo la sua dipartita: il fondo Benchmark Capital, uno dei più noti di Silicon Valley (è quello che lanciò Google), in possesso del 20% dei diritti di voto, tiene in piedi una denuncia contro di lui per frode e “bugie” nei confronti della società che ha fondato, e – visto che Kalanick mantiene un posto nel board chiede a voce altissima la sua totale scomparsa dalla scena prima di consentire il ripristino di normali condizioni operative. Insomma, un disastro d’immagine e di sostanza senza precedenti al quale ora Khosrowshahi (se avete difficoltà a pronunciarlo sappiate che il sito howtopronounce. com dà al suo cognome il rating very difficult ) dovrà porre rimedio. Incidentalmente, dovrà anche raddrizzare, sempre con orizzonte limitato al 2018, i conti dell’azienda, che non ha mai guadagnato un centesimo e ha chiuso il bilancio dell’anno scorso ancora con una perdita di oltre due miliardi, un quarto del fatturato.

Nel primo semestre del 2017, calcola l’ Economist, le perdite si sono ancora aggirate sugli 1,4 miliardi. È naturale per le startup della new economy, si dirà, ma in questo caso non è il proprio il caso di insistere con le perdite. Il primo investimento di Khosrowshahi è proprio sulla sua immagine, specchiata e innovativa. «Sta cercando di tesaurizzare la sua ottima fama personale – scrive il Financial Times per cercare di rappacificare gli animi, e tanto per cominciare ha smesso di lanciare proclami di hypergrowth ». Probabilmente non basterà, anche perché ci sarà da fare i conti con un altro problema ancora: visti i tormenti di Uber, decine di siti competitivi in tutto il mondo, a partire dall’americana Lyft, hanno spiccato il volo.

«Vi devo confessare che sono spaventato », ha ammesso candidamente, di sicuro sinceramente, lo stesso Khosrowshahi in una e-mail allo staff Expedia con cui annunciava il suo trasferimento, resa pubblica dal Wall Street Journal . «È stata una delle decisioni più dure della mia vita». Le premesse per lui sono comunque positive: è stato accolto in azienda con soddisfazione e con genuino apprezzamento. «Sono sicura che Dara è la persona giusta per calmare gli animi», ha detto Frances Frei, s enior vice president di Uber. «Ha sia l’umanità che la fierezza e la capacità per fare precisamente quello di cui tutti noi abbiamo bisogno».

E sul futuro ruolo di Kalanick ha dilomaticamente aggiunto: «Ora il capo è Khosrowshahi e sta a lui decidere cosa fare e di quali persone circondarsi ».


6 commenti

  1. Houston abbiamo un problema: troppi van e giaguari neri girano addirittura senza la placca NCC. Domanda: se non sono noleggiatori come possono usare U… BLACK? Seconda domanda: in giro per MILANO ci sono tante targhe straniere. Posso capire che non sia possibile spiegare una DIVISIONE CORAZZATA DI VIGILI URBANI, ma in informativa al sig. GRANELLI la possiamo fare? Una piccola denuncia in procura, magari una visitina in loco dalle parti dell ospedale buzzi non sarebbe male o no? Non da parte nostra eh?????? Calmi!

  2. Sono il marito di “Carla” un tassista Super Incazzato, la nostra categoria, si merita tutto quello che il Sindaco Pisapia prima e l’attuale
    Sala ci stanno cucinando…
    I tassisti di Milano ingoiano tutto senza una minima riflessione. Cio’ vuol dire che a Milano
    Possono Lavorare tutti I taxisti della Lombardia.. Solo Monza e Sesto San Giovanni Sono in Grado di Difendere il Loro Territorio…
    Meditate Colleghi ..Meditate!!!

  3. A ” lorsignori ” addetti ai controlli e alla cronaca : quante denunce di stupro bisogna raggiungere per avviare un’ indagine se coloro protagonisti delle malefatte offrono passaggi o sono tassisti abusivi ???

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