Torino vista da un kabu kabu. Viaggio a bordo dei taxi abusivi

lastampa.it Johnny sposta all’ombra la monovolume francese, diventata maggiorenne da un pezzo. Ci lavora, con quella. Non vuole che si trasformi in un forno. Per sé, certo, ma anche per i clienti. Il termometro segna 36 gradi, addosso ne senti almeno dieci di più. Siamo a Porta Palazzo, il mercato all’aperto più grande d’Europa. Tutt’intorno, palazzine popolate di immigrati. Come è sempre stato.  Prima arrivavano dal Sud dell’Italia, adesso dal Sud del mondo. Un crogiuolo di etnie e culture, che sovente convivono senza mescolarsi.

Questo angolo di città è un pezzo di storia, alle spalle della Porta Palatina che segnava l’ingresso nella Augusta Taurinorum del primo secolo a.C.. L’unico omaggio alla modernità è il PalaFuksas, denigrato dai negozianti che lo hanno popolato, stufi di lamentare svariate magagne legate alla realizzazione del progetto firmato dall’archistar molto gettonato dalle amministrazioni ai piedi della Mole.

Di sicuro, la struttura di vetro e cemento protegge dal sole il lato verso il Cottolengo. E’ quello il posto scelto dai «kabu kabu», nome nigeriano per indicare i taxi clandestini. Sono arrivati a Torino all’inizio degli Anni 90, assieme ai primi immigrati da Lagos e Benin City.

Prima di fare il tassista abusivo, Johnny lavorava come operaio. «Poi, la ditta è fallita e mi sono arrangiato», racconta. Le tariffe sono concordate. Cinque euro per andare alla stazione di Porta Susa, quindici per attraversare la città fino al carcere minorile Ferrante Aporti. Contrattando, la tariffa scende a dieci euro. Con un taxi, la spesa avrebbe sfiorato i venti.

È diffidente. «I bianchi non salgono in auto con gli africani», spiega. Perché? Hanno paura? Uomo nero, uomo cattivo? Lui spalanca un sorriso da orecchio a orecchio: «Sì, sì». Il sorriso e la risata rompono il ghiaccio. Dopo qualche incrocio, Johnny vince la diffidenza e chiacchiera a ruota libera.

«Ho 47 anni. Sono arrivato a Torino nel 1995. Per fortuna, mia moglie lavora come operaia. Altrimenti, sarebbe difficile mantenere i nostri quattro figli», dice. Dopo aver perso il lavoro, è diventato un «kabu kabu». Sia chiaro, è illegale. Ma è un settore che sfugge al controllo della «mafia» nigeriana, concentrata su droga e prostituzione. È tutto nelle mani di confraternite universitarie, con la testa a Benin City e ramificazioni a Torino, Milano, Bologna e in varie altre città d’Italia. Ma i «kabu kabu» vengono ignorati.

Anche se qualcuno prova a fare il bullo. Racconta Johnny: «Una volta sono entrato in un bar dove ho visto alcuni di quelle bande. Uno mi voleva obbligare a pagargli da bere. Mi sono infuriato, gli ho detto che sono arrivato in Italia molto prima di lui e non gli dovevo niente. È arrivato anche un suo amico, gli ho risposto la stessa cosa, a quel punto mi hanno fatto uscire dal bar e me ne sono andato».

«Quando va bene, riesco a prendere anche 30-40 euro al giorno. Ma a volte, anche niente», spiega. Poi, c’è da togliere il costo del carburante. In compenso, è tutto esentasse.

Per Johnny, quello è un lavoro. Mai pensato di tornare in Nigeria? «No, no. Ormai la mia vita è qui», dice. Ma c’è un velo di malinconia nella sua voce: «Sono tornato a salutare i parenti nel 2014. È un Paese bellissimo, il Signore ci ha dato un Paese bellissimo, ma i governanti lo hanno ridotto male». Stringe i pugni, strizza gli occhi, scuote la testa: «È colpa loro se la situazione è quella che è».

All’ombra del PalaFuksas, lavorano a turno una ventina di «kabu kabu». Nigeriani, ma anche senegalesi. «Loro sono giovani, non hanno famiglie e così possono fare il turno di notte», spiega Johnny. Lui non lo sa, ma dalla parte opposta di Torino ci sono anche i sudamericani a fare lo stesso servizio taxi abusivo. La polizia municipale cerca di contrastare il fenomeno. Ma le forze da mettere in campo sono poche. I controlli vanno a ondate. E questo è il periodo.

La corsa clandestina verso il Ferrante Aporti salva Johnny dal blitz del Nucleo Sequestri della polizia locale. Multe, anche un’auto sequestrata perché il guidatore è stato sorpreso con un cliente: aveva pagato 5 euro per farsi scarrozzare per qualche isolato. Jonny non lo sa, ma è il suo giorno fortunato.


8 commenti

  1. Marco, ho sentito che le sigle hanno appuntamento al MIT L 8 settembre. NON SI POTREBBE CAMBIARE DATA? L 8 settembre e’ una jattura

  2. Poverino, lo fà per mantenere la famiglia… mica come noi che lo facciamo per divertimento!!!!

  3. Ma che bel quadretto romantico. Io che sono bianco, tre figli, moglie operaia part time (576€/mese), in regola con tutte le leggi e i regolamenti di questo universo se vengo intervistato da un giornalista minimo sono considerato evasore, lobbista, privilegiato, rozzo e arretrato…

  4. Certo, poveraccio, deve anche lui mangiare. Sullo sfondo dell’articolo si delinea una sorta di assoluzione nei confronti dei “poveri” abusivi. Loro, sfortunati nella vita, certo. Quindi, da assolvere da giustificare. Persone spesso integrate o comunque in Italia da un bel po’ i quali però, dato le circostanze, si arrangiano. Stranieri e spesso anche italiani. L’elogio dell’arte dell’arrangiarsi che giustifica tutto, o quasi. Questo è il nostro paese. Le regole chissenefrega; i controlli; zero o quasi. Tanto i benestanti, brutti, cattivi e obsoleti tassisti regolari cosa c’è ne frega. Tanto loro sono una lobby. Che si arrangino pure loro. Sono dei privilegiati mica dei poveracci.
    Difatti, al contrario, siamo dei lavoratori regolari, i quali a fronte di immensi, sottolineo immensi sacrifici (studi, mutui, fideiussioni, prestiti vari) hanno acquistato regolarmente una licenza, pagano tasse contributi, INAIL ecc. Nella stragrande parte dei casi si tratta di persone anche loro che hanno perso il lavoro, di operai o impiegati che per lavorare e mantenere i propri figli si sono reinventati una professione. Non hanno usato scorciatoie, non campano sulle spalle della collettività, portano risorse allo Stato, hanno regole, norme da rispettare, come giusto che sia per chi fa un servizio pubblico ed hanno i relativi costi di gestione per ottemperare a questo. Troppo facile nascondersi dietro la necessità. Anche chi ora lavora regolarmente a suo tempo avrebbe potuto fare l’abusivo, ma ha scelto un’altra strada, quella della legalità. Ma forse ha sbagliato, oggi non rispettare le regole non è così importante, le leggi meglio aggirarle, troppo old; meglio smart, meglio easy, meglio arrangiarsi.

  5. Direi di più massimo 35 questa new fashion fa molto SHARING……OH MY GOD

  6. Ora mi metto ha farlo anch’io dietro al tribunale , ospedali ,stazione ecc.ecc.
    Che paese di M…da

  7. IL GIORNALISTA SI E’DIMENTICATO DI SCRIVERE L’IBAN DELL’ABUSIVO CON IL SORRISO BIANCO BIANCO

I commenti sono chiusi.