“Uber è una società di trasporti”, il parere europeo mette nei guai l’app

repubblica.it Che cos’è Uber? Una piattaforma tecnologica che fa incontrare domanda e offerta di corse, come si è sempre definita? Oppure una vera e propria azienda di trasporti? Secondo l’avvocato generale della Corte di Giustizia europea la risposta giusta è quest’ultima. E il suo parere, per quanto non vincolante, non è di poco conto. Se la Corte dovesse accoglierlo infatti Uber non potrebbe più esercitare liberamente la propria attività in tutti gli Stati membri della Ue, come fanno i servizi digitali (dai siti di e-commerce a quelli per prenotare hotel). Sarebbe invece costretta a ottenere licenze e autorizzazioni (come i taxi) in ogni mercato che lo prevede, essendo il campo dei trasporti regolato in autonomia dai singoli governi. Di più: essere riconosciuta come azienda di mobilità potrebbe essere il grimaldello per costringerla a inquadrare i suoi guidatori come veri e propri dipendenti, anziché collaboratori autonomi. 

Da dove viene il parere?
Come detto quello di Maciej Szpunar, avvocato generale della Corte di Giustizia, non è un parere vincolante: all’atto della sentenza, come successo in passato, il tribunale potrebbe decidere in senso opposto. Eppure si tratta di un parere di peso. Nasce da una causa intentata a Barcellona da una società di Taxi contro Uber per il suo servizio Pop, quello in cui al volante stavano privati cittadini e non guidatori professionisti. I tassisti avevano chiesto alla corte locale di sospendere il servizio, in quanto privo della necessaria licenza richiesta dalla città di Barcellona. Il tribunale si è quindi rivolto alla Corte di Giustizia europea per rispondere alla domanda: Uber è un intermediario digitale, quindi libero di operare senza restrizioni, oppure una società di trasporto? La Corte dovrà decidere entro la fine dell’anno, ma intanto ha acquisito il parere dell’avvocatura.

Un giudizio simile della Corte bloccherebbe Uber?
La società tecnologica si è affrettata a precisare che sotto la lente c’è il servizio Pop, che in Spagna non esiste più dal 2014 e in Italia dal 2015. Nella maggior parte dei Paesi oggi Uber usa solo guidatori professionisti dotati di licenza. Il parere dell’avvocatura però coinvolge Uber nel suo complesso: “Non può essere guardata come un semplice intermediario tra guidatori e passeggeri (…) e la sua offerta principale è senza dubbio quella del trasporto, che dà significato economico al servizio”. Se la Corte dovesse accogliere questa interpretazione quindi Uber non sarebbe più libera di offrire il suo servizio in tutti i Paesi europei, come è consentito alle piattaforme tecnologiche, ma dovrebbe dotarsi delle apposite autorizzazioni nazione per nazione. Poprio come i servizi taxi. “Essere considerati una società di trasporto non cambierebbe il modo in cui molti Paesi europei già oggi regolano le nostre attività”, risponde la società. Il messaggio insomma è che in Italia si andrebbe avanti comunque. In altri Paesi più restrittivi nei confronti dell’app però, come appunto la Spagna, questo potrebbe permettere alle autorità di richiederle una apposita autorizzazione.

Cosa cambia per la società?
Ma una parte del parere potenzialmente ancora più d’impatto è l’analisi del funzionamento di Uber. L’avvocato generale infatti spiega che i guidatori che lavorano con la piattaforma non svolgono una attività autonoma e indipendente. Questo, si può obiettare, vale solo per il servizio Pop, non per quello Black che utilizza guidatori professionisti. Ma a Black si applicano di certo gli altri rilievi del documento: Uber impone ai guidatori le condizioni di svolgimento dell’attività, ricompensa quelli che effettuano più corse, esercita un controllo sulla qualità del loro lavoro e determina il prezzo del servizio. Tutti aspetti che potrebbero andare nella direzione di identificare i guidatori come dipendenti a tutti gli effetti della società, con relativi diritti, uno status che molti di loro stanno cercando di farsi riconoscere negli Stati Uniti e nel Regno Unito.

Cosa succederà in Italia?
Secondo quanto dice la società, Uber dovrebbe comunque continuare ad operare il suo servizio Black in Italia. Che però è minacciato anche da altri fronti. A giorni dovrebbe arrivare la sentenza del Tribunale di Roma sulla richiesta di blocco presentata da alcune associazioni di tassisti e Ncc contro l’app: la corte aveva in un primo tempo deciso uno stop di emergenza, poi cancellato in attesa del pronunciamento definitivo. A breve il governo dovrebbe anche emanare un decreto di contrasto agli abusi da parte dei servizi di Noleggio con conducente che agiscono al di fuori del proprio territorio. Nel frattempo il disegno di legge sulla concorrenza, atteso al voto definitivo del Parlamento, delega l’esecutivo a una riforma complessiva del settore, più che mai necessaria. Con la speranza che possa essere scritta prima della fine della legislatura.

4 commenti

  1. U… vuole gestire il trasporto persone senza assumersi gli obblighi gli oneri i doveri che normalmente un operatore del trasporto si assume. Non vuole regole . Non vuole imposizioni . Vuole solo fare profitto liberamente senza regole a discapito di chi le regole le rispetta

  2. Giusto quello che dice Anonimo!…e aggiungo..ELUDE LE TASSE!!..a questo punto l’Avvocato esprime solo un parere,percio’noi andiamo avanti!!!DALLE ASSEMBLEE DI ROMA E MILANO SI ESCE CON UN CHIARO URLO DI LEGALITA’AD OGNI COSTO!!QUESTA VOLTA NON STAREMO FERMI HAI PARCHEGGI,NO..NO.

  3. Giuseppe da Napoli
    è vero troppo tempo per muoverci
    rU… fa come la pubblicità ti piace vincere facile??

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