Ddl concorrenza: il rischio è che diventi una legge antiliberalizzazioni

Istituto Bruno Leonirepubblica.it Il giudizio dell’Istituto Bruno Leoni. Il vicedirettore Serena Sileoni: “Bene per lo stop al mercato protetto dell’energia, anche se slitta di sei mesi”. Male la “norma Uber, ma nel complesso il provvedimento “ha perso lo spirito organico di legge di periodica manutenzione del settore”, per diventare un contenitore “privo di un filo conduttore”

Qualcosa è slittato, qualcosa è diventato oggetto di una delega per una futura normativa, qualcosa è stato cancellato ma qualcosa addirittura va contro lo spirito della legge. Perché il paradosso del disegno di legge sulla concorrenza, approvato ieri dalla commissione Industria del Senato dopo una lunga e faticosa gestazione, è che “si è rischiato di introdurre elementi anticoncorrenziali” nell’ordinamento, rileva Serena Sileoni, vicedirettore generale dell’Istituto Bruno Leoni. Il centro di ricerca è nato nel 2003 per promuovere le “idee per il libero mercato”, e pubblica ogni anno, a dicembre, l’indice delle liberalizzazioni, che mette a confronto i Paesi europei. Nell’ultima edizione dell’Indice l’Italia si colloca a metà classifica con 67 punti. Nel complesso, afferma Sileoni, il ddl, dopo quasi un anno e mezzo di esame in Parlamento, “presenta un aspetto negativo generale: si è persa un po’ l’idea della legge annuale sulla concorrenza, non soltanto perché è diventata quasi biennale, ma non è più quel disegno di legge organico, frutto delle segnalazioni dell’Antitrust“.

Cioè, dice la ricercatrice, “rispetto al testo organico del governo, che partiva da un’idea di legge di manutenzione annuale, tra quello che sì è perso e quello che si è aggiunto, il ddl è diventato una legge contenitore con norme che sono più da codice del consumatore che da legge della concorrenza. Non ci sorprende moltissimo considerato che finora la legge non era mai stata proposta dal governo. C’è un po’ di questo e un po’ di quello, e tra le norme che hanno resistito e quelle che non sono sopravvissute all’esame delle Camere non si capisce la logica, non c’è un filo logico”.

IIl ddl concorrenza è da tempo nell’occhio del ciclone. Dall’entusiasmo iniziale per il disegno di legge, che per la prima volta prendeva forma, sulla base delle segnalazioni dell’Antitrust, si è passati alla delusione per le lungaggini parlamentari (la legge “annuale” è in Parlamento da circa 18 mesi, e ancora deve passare in Aula al Senato e poi tornare alla Camera per l’approvazione che ci si augura sia stavolta definitiva) e soprattutto per le troppe modifiche al testo originario, che ne hanno stravolto i contenuti e lo spirito originario. Da più parti si parla di “occasione mancata”, e lo stesso relatore Salvatore Tomaselli, (Pd), ammette che “E’ un provvedimento che non è stato fortunato, al di là delle vicende di merito”, e si augura che “il prossimo ddl concorrenza sia più snello e trasparente, concentrato su pochi settori“.

Il rischio che da legge pro concorrenza diventasse una legge antiliberalizzazioni si è concretizzato in particolare in una norma, a giudizio dell’Istituto Bruno Leoni, quella che dà agli albergatori la possibilità di praticare alla clientela finale prezzi e condizioni migliori rispetto a quelli offerti da intermediari terzi, anche online (il principale è Booking.com): “La norma – dice Serena Sileoni – introduce un obbligo negoziale che non solo in linea teorica è una intromissione nella libera capacità di trattare delle parti, ma le danneggia. Booking non è una vetrina pubblicitaria, il suo obiettivo è quello di vendere camere d’albergo e può farlo solo a un prezzo competitivo. Del resto gli alberghi non hanno l’obbligo di vendere su Booking, lo fanno perché ne traggono dei vantaggi, soprattutto i piccoli albergatori che non dispongono di un loro sito. Una scelta che è frutto di un’analisi costi benefici individuali, perché il legislatore deve intervenire? Questa clausola impedisce agli intermediari di fare il loro mestiere”.

In altri casi invece il legislatore, pressato dai gruppi d’interesse, ha scelto di non decidere, posponendo la scelta. E’ quello che in particolare è avvenuto su Uber e su tutti gli altri “autoservizi pubblici non di linea”: il ddl concorrenza nell’ultima versione approvata dal Senato ha stabilito che entro 12 mesi dall’entrata vigore del provvedimento, il governo è delegato ad adottare un decreto legislativo per la revisione della disciplina in materia dei servizi offerti da fornitori come Ncc e Uber. “Una soluzione compromissoria, un po’ pilatesca, – valuta Sileoni – da un lato il Parlamento ha voluto dimostrare di aver preso in carico la riforma del trasporto pubblico non di linea, però l’ha fatto rinviando la normativa, senza neanche essere sicuri che la riforma venga realizzata perché le deleghe possono anche scadere. Però nella formula originaria era una norma quasi in bianco, adesso nell’ultima versione sono almeno stati adottati criteri un po’ più stringenti, con un afflato un po’ più proconcorrenziale. Hanno pesato i tassisti che sono scesi in piazza, altrimenti la riforma si sarebbe fatt da tempo. La legislazione attuale è obsoleta, è un po’ come quando è stata scoperta la luce elettrica: non aveva più senso accendere le candele”.

Però la legge ha almeno una innovazione di peso, sottolinea Sileoni: la liberalizzazione completa del mercato dell’energia. E’ vero che la fine del mercato di maggior tutela slitta di sei mesi, e l’entrata in vigore della liberalizzazione viene rinviata al primo luglio 2018, però, dice la studiosa, “è talmente tanto una buona notizia che sei mesi di rinvio contano poco. Ci sarà una prima fase di assestamento ma poi la liberalizzazione avrà la meglio, la telefonia mobile in questo senso è stata un esempio, adesso le tariffe sono scese talmente che sono entrate nel paniere dei beni comuni”. A frenare l’entrata in vigore della norma, ricorda Sileoni, è stata a lungo “la diffusa opinione che sia necessario un paracadute, ma a mio modo di vedere l’esperienza dimostra che non c’è nessuna maggior garanzia nel mercato protetto, anche perché comunque stiamo parlando di in un mercato regolato, c’è comunque un’autorità di vigilanza, ci sono comunque una serie di strumenti che vaccinano rispetto a quello che si paventa possa diventare un far west delle tariffe”.

Per il resto, conclude Sileoni, la legge non incide più di tanto sulla concorrenza del nostro Paese. Ma “sarebbe stato ingenuo pensarlo”. Piuttosto, “il problema è stato, nel passaggio del ddl del governo al testo discusso dalle Camere, quello di evitare che entrassero delle norme anticoncorrenziali. Paradossalmente si è rischiato molto e su Booking le previsioni peggiori si sono avverate. Già aver evitato questo pericolo a vasto raggio è stato tanto”.

5 commenti

  1. Quindi??? Questo coso, perché chiamarlo istituto è un offesa , è indignato dal fatto che u… Non sia stato messo all opera ??? Ma sta gente riceve soldi nostri per scrivere ste porcherie ???? Che vergogna !!!

  2. Ancora con questa truffa del libero mercato…rimango sbigottito…è una vita che c’è lo propinano…nonostante i disastri che si lascia alle spalle continuano a venderlo come oro colato. …

  3. ma “la candela” (una legislazione che non basta più..), è arrivata al lumicino.. E dopo?

  4. L’ennesima a libro paga dei mentitori, stipendiati per distruggere e privatizzare…il miraggio di profitti e’ la benzina di questi squali, e quanti ingenuotti credono al libero mercato!

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