Un’agenda europea per l’economia collaborativa

Un'agenda europea per l'economia collaborativaIn questi giorni si parla molto delle linee guida della Commissione Europea in cui parecchi giornalisti vedono un salvataggio di Uber e che invece, molto curiosamente, qualche sindacato dei taxi trova del tutto normale che si discuta della pelle dei tassisti così a cuor leggero, quasi che a questi simpatici signori poco importi se le tessere e/o i soldi dei loro stipendi arrivino da gente che si fa un mazzo tanto per sbarcare il lunario e a cui si prospetta (per l’ennesima volta dal 2006 a oggi) lo spettro della bancarotta e della povertà dopo che la famigerata multinazionale americana avrà fatto piazza pulita. 

Sotto questa prefazione ed ennesima presa di distanza personale da chi vorrebbe modificare le leggi che regolano il settore taxi ed ncc, c’è il documento intero “Un’agenda europea per l’economia collaborativa” con data 2.6.2016 in cui ho sottolineato i punti che a mio avviso sembrano più “interessanti”. Quelli con lo sfondo giallo sono quelli che trovo assolutamente scandalosi. Buona lettura, fate uno sforzo ed arrivate fino in fondo che ne va della nostra pelle.


COMMISSIONE EUROPEA         Bruxelles, 2.6.2016  COM(2016) 356 final

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

Un’agenda europea per l’economia collaborativa {SWD(2016) 184 final}  IT    IT

  1. Introduzione

L’economia collaborativa crea nuove opportunità per i consumatori e gli imprenditori. La Commissione ritiene quindi che possa dare un contributo importante alla crescita e all’occupazione nell’Unione europea, se promossa e sviluppata in modo responsabile. L’innovazione ha stimolato lo sviluppo di nuovi modelli imprenditoriali che hanno la potenzialità di contribuire in modo significativo alla competitività e alla crescita. Il successo delle piattaforme di collaborazione a volte rappresenta una sfida per gli attuali operatori del mercato e per le pratiche esistenti, ma dando ai singoli cittadini l’opportunità di offrire servizi tali piattaforme promuovono anche nuove opportunità di occupazione, flessibilità e nuove fonti di reddito. Per i consumatori i vantaggi dell’economia collaborativa sono l’accesso a nuovi servizi, a un’offerta più ampia e a prezzi più bassi. Essa può inoltre incoraggiare la condivisione e l’uso più efficiente delle risorse, contribuendo in questo modo al programma di sostenibilità dell’UE e alla transizione verso l’economia circolare.

Allo stesso tempo, l’economia collaborativa spesso solleva questioni relative all’applicazione del quadro normativo vigente, dal momento che rende meno nette le distinzioni tra consumatore e prestatore di servizi, lavoratore subordinato e autonomo, o la prestazione di servizi a titolo professionale e non professionale. Ciò può causare incertezza sulle norme applicabili, specie se si unisce alla frammentazione normativa derivante da approcci normativi divergenti a livello nazionale o locale e ciò, a sua volta, ostacola lo sviluppo dell’economia collaborativa in Europa e impedisce la piena realizzazione dei benefici che essa comporta. Allo stesso tempo esiste il rischio che si sfruttino le “zone grigie” normative per aggirare le norme intese a tutelare l’interesse pubblico.

Il settore dell’economia collaborativa è ancora piccolo ma sta crescendo rapidamente, guadagnando quote di mercato importanti in alcuni settori. I ricavi totali lordi nell’UE di piattaforme e prestatori di servizi di collaborazione sono stati stimati a 28 miliardi di EUR nel 2015. Rispetto all’anno precedente i ricavi nell’UE di cinque settori chiave sono quasi raddoppiati e si prevede che continueranno stabilmente a crescere[1]. Si registra fin dal 2013 una forte crescita che ha subito una ulteriore accelerazione nel 2015, grazie ai notevoli investimenti di grandi piattaforme che hanno ampliato la loro attività in Europa. Alcuni esperti stimano che in futuro l’economia collaborativa potrebbe apportare all’economia dell’UE da 160 a 572 miliardi di EUR di ulteriore giro d’affari. Le nuove imprese dispongono quindi di un enorme potenziale di conquista di mercati in rapida crescita[2]. L’interesse dei consumatori in effetti è forte, come confermato da una consultazione pubblica e da un sondaggio Eurobarometro[3].

Lo scopo della presente comunicazione è agevolare la piena fruizione di questi vantaggi e rispondere alle preoccupazioni circa l’incertezza sui diritti e sugli obblighi di coloro che partecipano all’economia collaborativa. Essa fornisce orientamenti giuridici e strategici per le autorità pubbliche[4], gli operatori di mercato e i cittadini interessati, ai fini di uno sviluppo equilibrato e sostenibile dell’economia collaborativa, come annunciato nella strategia per il mercato unico[5]. Tali orientamenti non vincolanti su come il diritto vigente dell’UE dovrebbe essere applicato all’economia collaborativa trattano questioni fondamentali che interessano sia gli operatori del mercato che le autorità pubbliche[6], lasciando impregiudicate le iniziative che la Commissione potrebbe adottare in questo settore in futuro e le prerogative della Corte di giustizia in merito all’interpretazione del diritto dell’UE.

Cos’è l’economia collaborativa?

Ai fini della presente comunicazione, l’espressione “economia collaborativa”[7] si riferisce ai modelli imprenditoriali in cui le attività sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati. L’economia collaborativa coinvolge tre categorie di soggetti: i) i prestatori di servizi che condividono beni, risorse, tempo e/o competenze e possono essere sia privati che offrono servizi su base occasionale (“pari”) sia prestatori di servizi nell’ambito della loro capacità professionale (“prestatori di servizi professionali”); ii) gli utenti di tali servizi; e iii) gli intermediari che mettono in comunicazione — attraverso una piattaforma online — i prestatori e utenti e che agevolano le transazioni tra di essi (“piattaforme di collaborazione”). Le transazioni dell’economia collaborativa generalmente non comportano un trasferimento di proprietà e possono essere effettuate a scopo di lucro o senza scopo di lucro. [8]

  1. Aspetti principali

2.1. Requisiti di accesso al mercato

Oltre a creare nuovi mercati e contribuire all’espansione di quelli esistenti, le imprese dell’economia collaborativa si inseriscono in mercati finora serviti da prestatori di servizi tradizionali. Una questione fondamentale per le autorità e gli operatori di mercato è se, e in caso affermativo in quale misura, a norma del diritto vigente dell’UE, le piattaforme di collaborazione e i prestatori di servizi possono essere soggetti a requisiti di accesso al mercato. Questi ultimi possono comprendere autorizzazioni per l’esercizio di impresa, obblighi di licenza o requisiti minimi di qualità (ad esempio le dimensioni dei locali o il tipo di autovettura, gli obblighi di assicurazione o di deposito ecc.). A norma del diritto dell’UE, tali requisiti devono essere giustificati e proporzionati, tenendo conto delle specificità del modello imprenditoriale e dei servizi innovativi interessati, senza privilegiare un modello d’impresa a scapito di altri.

Prestazione di servizi a titolo professionale

Gli approcci normativi nazionali sono diversi nei vari settori, in quanto alcuni sono più restrittivi rispetto ad altri. A seconda del tipo di servizio, l’intervento normativo di solito è motivato facendo riferimento a diversi obiettivi di interesse generale: tutelare i turisti; garantire la pubblica sicurezza; combattere l’evasione fiscale; mantenere la parità di trattamento; salvaguardare la salute pubblica e la sicurezza alimentare; porre rimedio alla scarsità di alloggi a prezzi accessibili per i cittadini, ecc. In alcuni Stati membri, oltre alla normativa settoriale vigente, vi sono stati interventi normativi mirati, incentivati dall’ingresso sul mercato degli operatori dell’economia collaborativa.

A norma del diritto dell’UE, in particolare delle libertà fondamentali del trattato e della direttiva sui servizi[9], i prestatori di servizi possono essere subordinati ai requisiti di accesso al mercato o ad altri requisiti, come i regimi di autorizzazione e i requisiti di licenza, soltanto se tali requisiti sono non discriminatori, necessari per conseguire un obiettivo di interesse generale[10] e proporzionati rispetto a tale obiettivo (vale a dire che non impongono più obblighi di quanto strettamente necessario)[11]. Ciò si applica anche alla regolamentazione delle professioni[12].

La direttiva sui servizi richiede pertanto che le autorità nazionali riesaminino la normativa nazionale vigente al fine di garantire che i requisiti di accesso al mercato continuino ad essere giustificati da un obiettivo legittimo e siano anche necessari e proporzionati. Come sottolineato dalla Commissione nella sua analisi annuale della crescita 2016[13], una regolamentazione più flessibile dei mercati dei servizi porterebbe a una maggiore produttività e potrebbe agevolare l’ingresso sul mercato di nuovi operatori, ridurre il prezzo dei servizi e garantire una scelta più ampia per i consumatori.

L’emergere dell’economia collaborativa e l’ingresso sul mercato di nuovi modelli imprenditoriali offrono ai responsabili politici e ai legislatori degli Stati membri l’opportunità di valutare se gli obiettivi perseguiti dalla normativa vigente restano validi, rispetto sia all’economia collaborativa sia ai prestatori di servizi che operano in modo tradizionale.

Al momento di valutare la giustificazione e la proporzionalità della legislazione applicabile all’economia collaborativa, le autorità nazionali devono generalmente prendere in considerazione le specificità dei modelli imprenditoriali dell’economia collaborativa, come pure gli strumenti che essi possono mettere a disposizione per affrontare le questioni di ordine pubblico, quali quelle relative all’accesso, alla qualità o alla sicurezza. Ad esempio, i sistemi di reputazione e di valutazione o altri meccanismi volti a scoraggiare comportamenti dannosi da parte degli operatori del mercato possono, in alcuni casi, ridurre i rischi per i consumatori derivanti da asimmetrie informative. Ciò può contribuire a un miglioramento della qualità dei servizi e potenzialmente ridurre la necessità di taluni elementi della regolamentazione, a condizione che si possa riporre adeguata fiducia nella qualità delle recensioni e delle valutazioni.

Divieti assoluti nonché restrizioni quantitative all’esercizio di un’attività costituiscono normalmente misure di ultima istanza che in generale dovrebbe essere applicata solo se e laddove non sia possibile conseguire un legittimo obiettivo di interesse generale con una disposizione meno restrittiva. Ad esempio, appare generalmente difficile giustificare un divieto di locazione a breve termine degli appartamenti se l’uso per locazione a breve termine degli immobili può, ad esempio, essere limitato a un numero massimo di giorni all’anno. Ciò consentirebbe ai cittadini di condividere le loro proprietà a titolo occasionale senza ritirare l’immobile dal mercato della locazione a lungo termine.

Inoltre, nel caso in cui il diritto nazionale richieda legittimamente ai prestatori di servizi di ottenere un’autorizzazione, gli Stati membri provvedono affinché le condizioni per ottenerla siano, tra l’altro, chiare, proporzionate e obiettive, e che le autorizzazioni abbiano, in linea di principio, una durata illimitata[14]. Inoltre le pertinenti procedure e formalità amministrative devono essere chiare, trasparenti e non indebitamente complicate, mentre i costi per i prestatori devono essere ragionevoli e proporzionati al costo della procedura in questione e le procedure devono essere quanto più rapide possibile e soggette al principio del silenzio assenso[15]. Il ricorso ai principi e alle migliori pratiche dell’amministrazione elettronica (eGovernment) può ridurre notevolmente i costi e gli oneri di conformità per i prestatori di servizi[16].

Fornitura di servizi tra pari (peer-to-peer)

Nel contesto dell’economia collaborativa, un elemento importante per valutare se un requisito di accesso al mercato è necessario, giustificato e proporzionato, può essere quello di stabilire se i servizi sono offerti da professionisti o da privati a titolo occasionale. Una specificità dell’economia collaborativa è che i prestatori di servizi sono spesso privati che offrono beni o servizi su base occasionale e “tra pari” (peer-to-peer). Allo stesso tempo, sempre più spesso micro imprenditori e piccole imprese usano piattaforme di collaborazione.

La normativa dell’UE non stabilisce esplicitamente in quale momento un “pari” diventa un prestatore di servizi professionali nell’economia collaborativa[17]. Gli Stati membri adottano criteri diversi per distinguere tra i servizi professionali e i servizi tra pari. Alcuni Stati membri definiscono come servizi professionali i servizi forniti dietro retribuzione, mentre i servizi tra pari si basano sul semplice rimborso dei costi sostenuti dal prestatore di servizi. Altri Stati membri operano questa distinzione utilizzando delle soglie. Tali soglie sono spesso determinate su base settoriale, tenendo conto del livello di reddito generato o della regolarità con cui si fornisce il servizio. Al di sotto di tali soglie, i prestatori di servizi sono di solito soggetti a requisiti meno restrittivi. Le soglie, stabilite in modo ragionevole, possono rappresentare un criterio utile e possono contribuire a creare un quadro normativo chiaro a beneficio dei prestatori di servizi non professionali.

Ad esempio, nel settore dei trasporti, alcuni Stati membri si stanno preparando ad esentare i servizi di trasporto passeggeri su piccola scala — al di sotto di una determinata soglia di fatturato annuo — dall’obbligo di licenza. Nel settore degli alloggi per brevi soggiorni, alcune città consentono le locazioni a breve termine e i servizi di condivisione della casa (homesharing) senza previa autorizzazione o registrazione qualora i servizi siano prestati a titolo occasionale, vale a dire fino a soglie specifiche, ad esempio meno di 90 giorni all’anno. Altre città applicano norme diverse a seconda che l’immobile sia un’abitazione principale o secondaria, basandosi sul presupposto che l’abitazione principale di un cittadino può essere affittata soltanto su base occasionale.

Piattaforme di collaborazione

Se — e in quale misura — le piattaforme di collaborazione possono essere soggette ai requisiti di accesso al mercato dipende dalla natura delle loro attività. Le piattaforme forniscono un servizio della società dell’informazione, poiché offrono un servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi[18] Pertanto non possono essere soggette ad autorizzazione preventiva o a qualsiasi requisito equivalente che riguardi specificamente ed esclusivamente tali servizi[19]. Gli Stati membri possono inoltre imporre requisiti normativi alle piattaforme di collaborazione che prestano tali servizi a livello transfrontaliero da un altro Stato membro solo in circostanze limitate e a norma di una procedura specifica[20].

Vi possono tuttavia essere casi in cui le piattaforme di collaborazione possono essere considerate come prestatrici di altri servizi, in aggiunta a quelli della società dell’informazione che esse offrono in qualità di intermediario tra i prestatori dei servizi sottostanti e i loro utenti. In particolare, in determinate circostanze, una piattaforma può anche essere un prestatore del servizio sottostante (ad esempio un servizio di trasporto o di locazione a breve termine). In tal caso, le piattaforme di collaborazione potrebbero essere soggette alla normativa settoriale applicabile, comprese le autorizzazioni per l’esercizio di impresa e gli obblighi di licenza generalmente applicati ai prestatori di servizi, alle condizioni stabilite nelle sezioni precedenti[21].

Se una piattaforma di collaborazione fornisca anche il servizio sottostante dovrà di norma essere stabilito caso per caso. A questo proposito possono essere usati vari criteri fattuali e giuridici. Il livello di controllo o di influenza che la piattaforma di collaborazione può esercitare sul prestatore di tali servizi è in genere il fattore determinante e può essere definito alla luce dei seguenti criteri chiave.

  • Prezzo: la piattaforma di collaborazione stabilisce il prezzo finale che dovrà essere pagato dall’utente, in quanto destinatario del servizio sottostante? Nei casi in cui la piattaforma di collaborazione si limita a raccomandare un prezzo o il prestatore dei servizi sottostanti è libero di adeguare il prezzo fissato da una piattaforma di collaborazione, ciò indica che questo criterio può non essere soddisfatto;
  • Altre condizioni contrattuali fondamentali: la piattaforma di collaborazione stabilisce i termini e le condizioni, diversi dal prezzo, che definiscono la relazione contrattuale tra il prestatore dei servizi sottostanti e l’utente (come ad esempio la definizione di istruzioni vincolanti per la fornitura del servizio sottostante, compreso qualsiasi obbligo di prestare il servizio)?
  • Proprietà dei beni essenziali: la piattaforma di collaborazione possiede i beni essenziali usati per fornire il servizio sottostante?

Qualora siano soddisfatti tutti e tre i criteri, vi sono forti indizi che la piattaforma di collaborazione esercita un’influenza o un controllo significativo sul prestatore del servizio sottostante, il che può a sua volta indicare che la piattaforma dovrebbe essere ritenuta anche fornitore del servizio sottostante (in aggiunta al servizio della società dell’informazione).

A seconda del caso in esame, possono essere considerati anche altri criteri. Ad esempio, se la piattaforma di collaborazione sostiene le spese e si assume tutti i rischi connessi alla prestazione del servizio sottostante. Oppure se esiste un rapporto di lavoro subordinato tra la piattaforma di collaborazione e la persona che ha prestato il servizio sottostante in questione (cfr. sezione 2.4). Tali elementi potrebbero indicare che la piattaforma di collaborazione esercita un livello di controllo e di influenza elevato sulla prestazione del servizio sottostante.

Al contrario, le piattaforme di collaborazione possono limitarsi a fornire assistenza al prestatore dei servizi sottostanti, offrendo la possibilità di svolgere determinate attività che sono secondarie rispetto ai servizi della società dell’informazione propriamente detti offerti dalla piattaforma in qualità di intermediario tra il prestatore di servizi sottostanti e i loro utenti (ad esempio fornendo sistemi di pagamento, copertura assicurativa, assistenza post vendita, ecc.). Ciò, di per sé, non costituisce una prova dell’influenza e del controllo sul servizio sottostante. Analogamente, l’offerta di meccanismi di valutazione e recensione da parte degli utenti non costituisce, di per sé, la prova di un’influenza o di un controllo significativi[22]. Tuttavia, in generale, più le piattaforme di collaborazione gestiscono e organizzano la selezione dei prestatori dei servizi sottostanti e il modo in cui tali servizi sono forniti — ad esempio verificando e gestendo direttamente la qualità di tali servizi — più diventa evidente che la piattaforma di collaborazione potrebbe essere considerata anche come prestatrice dei servizi sottostanti stessi.

Quindi una piattaforma di collaborazione che fornisce servizi nel settore della locazione a breve termine può fornire solo i servizi della società dell’informazione, e non anche il servizio di locazione, se, ad esempio, il prestatore del servizio di locazione stabilisce i propri prezzi e la piattaforma non possiede nessun bene usato per la prestazione di tale servizio. Il fatto che la piattaforma di collaborazione possa anche offrire ai suoi utenti servizi di valutazione e servizi assicurativi non modifica tale conclusione.

Nel valutare se i requisiti di accesso al mercato applicati all’economia collaborativa sono necessari, giustificati e proporzionati per soddisfare legittimi obiettivi di interesse generale, gli Stati membri dovrebbero tenere in considerazione le specificità dei modelli imprenditoriali di economia collaborativa.

Ai fini della regolamentazione delle attività in questione, i privati che offrono servizi attraverso piattaforme di collaborazione su base occasionale e tra pari (peer-to-peer) non dovrebbero essere automaticamente considerati come prestatori di servizi professionali. La definizione di soglie (eventualmente settoriali) al di sotto delle quali un’attività economica si qualifica come non professionale e tra pari può rappresentare un approccio adeguato.

Gli Stati membri sono invitati a cogliere l’opportunità di riesaminare, semplificare e modernizzare i requisiti di accesso al mercato che sono generalmente applicabili agli operatori del mercato, mirando a esentare gli operatori dagli oneri normativi superflui, indipendentemente dal modello imprenditoriale adottato, e ad evitare la frammentazione del mercato unico.

2.2 Regimi di responsabilità

La maggior parte delle norme pertinenti in materia di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sono stabilite dal diritto nazionale degli Stati membri. Tuttavia, a norma del diritto dell’UE, le piattaforme online, in qualità di fornitori intermediari di servizi della società dell’informazione, sono, a determinate condizioni, esonerate dalla responsabilità per le informazioni memorizzate[23].

L’applicabilità di questa deroga alla responsabilità dipenderà dalle circostanze di diritto e di fatto relative all’attività svolta dalla piattaforma di collaborazione, quando le attività in questione si configurano come servizi di hosting ai sensi della direttiva sul commercio elettronico[24]. A tal fine, il ruolo della piattaforma deve essere di ordine meramente tecnico, automatico e passivo[25]. La deroga alla responsabilità si applica a condizione che la piattaforma di collaborazione non svolga un ruolo attivo che le conferirebbe la conoscenza, il controllo o la consapevolezza delle informazioni illecite e, laddove ottenga comunque tale conoscenza o consapevolezza, non agisca immediatamente per cancellarle o per disabilitare l’accesso alle stesse[26].

Se le piattaforme di collaborazione beneficino o no di tale deroga alla responsabilità dovrà essere stabilito caso per caso, a seconda del livello di conoscenza e di controllo della piattaforma online sulle informazioni in essa contenute.

È importante sottolineare che, a norma del diritto dell’UE, gli Stati membri non possono imporre alle piattaforme di collaborazione, nella misura in cui forniscono servizi di hosting, un obbligo generale di sorveglianza, né di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite[27].

La comunicazione sulle piattaforme online e il mercato unico digitale[28] spiega che mantenere l’attuale regime di responsabilità degli intermediari è fondamentale per l’ulteriore sviluppo dell’economia digitale nell’UE. Ciò include l’economia collaborativa, poiché le piattaforme online costituiscono un fattore chiave per la sua crescita. La Commissione, allo stesso tempo, incoraggia una condotta responsabile di tutti i tipi di piattaforme online in forma di azioni volontarie, ad esempio per affrontare l’importante questione delle recensioni finte o ingannevoli. Tali azioni volontarie, intraprese per accrescere la fiducia e per offrire un servizio più competitivo, non comportano automaticamente che il ruolo della piattaforma di collaborazione non sia più di ordine meramente tecnico, automatico e passivo.

Oltre ai servizi di hosting, una piattaforma di collaborazione può anche offrire una serie di altre attività collegate o ausiliarie, tra cui sistemi di valutazione e di recensione, sistemi di pagamento, servizi assicurativi, verifica dell’identità (spesso effettuata da un fornitore terzo), oppure la piattaforma può fornire essa stessa il servizio sottostante offerto agli utenti.

La suddetta deroga alla responsabilità prevista dal diritto dell’UE resta limitata alla fornitura di servizi di hosting e non si estende ad altri servizi o attività offerti da una piattaforma di economia collaborativa. La suddetta deroga alla responsabilità inoltre non esclude la responsabilità della piattaforma dell’economia collaborativa ai sensi della legislazione applicabile in materia di protezione dei dati personali, per quanto riguarda le attività proprie della piattaforma. Al contrario, il semplice fatto che una piattaforma svolga anche altre attività – oltre a fornire servizi di hosting – non significa necessariamente che tale piattaforma non possa più fare affidamento sulla deroga alla responsabilità per i suoi servizi di hosting[29]. In ogni caso, il modo in cui le piattaforme di collaborazione concepiscono i loro servizi della società dell’informazione e attuano misure volontarie per affrontare il problema dei contenuti illeciti online resta, in linea di principio, una decisione commerciale e occorre sempre valutare caso per caso se beneficino di una deroga al regime di responsabilità degli intermediari.

Le piattaforme di collaborazione sono incoraggiate a continuare ad adottare azioni volontarie per la lotta contro i contenuti illeciti online e per accrescere la fiducia (ad esempio contribuendo a garantire la qualità dei servizi sottostanti offerti dai prestatori sulla propria piattaforma). Tali misure volontarie non devono automaticamente significare che le piattaforme di collaborazione che godrebbero di una deroga alla responsabilità degli intermediari non possano più beneficiarne.

2.3. Tutela degli utenti

La normativa dell’UE in materia di consumatori e di marketing è stata tradizionalmente concepita per disciplinare transazioni in cui vi è una parte più debole che va tutelata (generalmente il consumatore). L’economia collaborativa confonde tuttavia la linea di distinzione tra consumatori e imprese dal momento che implica un rapporto multilaterale che può comprendere transazioni tra imprese, tra impresa e consumatore, tra consumatore e impresa e tra consumatori. In tali rapporti non è sempre chiaro chi sia la parte più debole da tutelare.

La normativa dell’UE in materia di consumatori e di marketing si basa attualmente sulla distinzione tra “professionista” e “consumatore”. Un professionista è qualsiasi persona “che agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale[30]; un consumatore è qualsiasi persona “che agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale[31]. Tali criteri applicati alle categorie che partecipano all’economia collaborativa determinano i rispettivi diritti e obblighi delle parti conformemente alla vigente normativa dell’UE in materia di consumatori e di marketing[32].

Il diritto dell’UE sui consumatori si applica in particolare a ogni piattaforma di collaborazione che si qualifica come “professionista” e svolge “pratiche commerciali” con i consumatori. Anche i prestatori dei servizi sottostanti si qualificano come professionisti se agiscono “nel quadro della loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale“. La normativa dell’UE in materia di consumatori e di marketing non si applica per contro alle transazioni tra consumatori. Di conseguenza se né il prestatore di servizi collaborativi né l’utente si qualificano come professionisti, le transazioni tra di essi non rientrano nell’ambito di applicazione di tale normativa.

Ciò solleva la questione centrale relativa alle condizioni necessarie affinché in una prestazione di servizi tra pari il prestatore del servizio sottostante si qualifichi come professionista. Gli Stati membri attualmente affrontano questo tema in modi differenti[33]. A norma della vigente normativa dell’UE tale questione deve essere risolta caso per caso. La Commissione offre a tal fine alcune linee guida generali nella versione riveduta degli orientamenti relativi alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali[34]. Nello specifico contesto dell’economia collaborativa sono importanti i fattori esposti di seguito. Sebbene nessuno di essi sarebbe di per sé sufficiente a qualificare un prestatore di servizi come professionista, in funzione delle circostanze del caso la loro combinazione potrebbe puntare in questa direzione.

  • Frequenza dei servizi: i prestatori che offrono i propri servizi a titolo occasionale (in maniera marginale e accessoria anziché regolare) avranno meno probabilità di qualificarsi come professionisti. A una maggiore frequenza della prestazione dei servizi corrisponde una maggiore probabilità che il prestatore si qualifichi come professionista, perché ciò potrebbe indicare che agisce nel quadro della propria attività commerciale, industriale, artigianale o professionale.
  • Finalità di lucro: la finalità di lucro può indicare che il prestatore di servizi potrebbe qualificarsi come professionista nell’ambito di una data transazione. In linea di massima i prestatori che intendono scambiare beni o competenze (come nel caso di “scambi di case” o “banche del tempo”) non si qualificheranno come professionisti. I prestatori che si limitano ad ottenere il rimborso dei costi di una transazione potrebbero non perseguire un lucro. Quei prestatori che invece ricevono una retribuzione al di là del rimborso dei costi probabilmente perseguono finalità di lucro.
  • Fatturato: maggiore è il fatturato generato dal prestatore di servizi (che provenga da una o più piattaforme di collaborazione), maggiore è la probabilità che il prestatore si qualifichi come professionista. A questo proposito è importante valutare se tale fatturato sia il frutto della stessa attività (ad esempio carpooling) o di vari tipi di attività (carpooling, servizi di giardinaggio, ecc.). Nella seconda ipotesi un fatturato maggiore non implica necessariamente che il prestatore si qualifichi come professionista, in quanto tale fatturato può non avere alcun collegamento con la sua altra (principale) attività.

Una persona che offre regolarmente servizi di giardinaggio (tramite l’uso di piattaforme di collaborazione) e ne ricava una retribuzione consistente potrebbe rientrare nella nozione di professionista, ma una babysitter professionista che offre occasionalmente servizi di giardinaggio (tramite l’uso di piattaforme di collaborazione) in linea di principio non si qualificherebbe come professionista in relazione a tali occasionali servizi di giardinaggio. In linea con la direttiva sulle pratiche commerciali sleali tutti i professionisti devono rispettare gli obblighi di diligenza professionale e non ingannare i consumatori. Ciò si applica anche a ogni piattaforma di collaborazione qualificabile come professionista per quanto riguarda le pertinenti pratiche commerciali (ad esempio servizi di intermediazione, servizi di pagamento, servizi di valutazione, ecc.). Le piattaforme di collaborazione dovrebbero anche permettere ai prestatori dei servizi sottostanti che si qualificano come professionisti di conformarsi alla normativa dell’UE in materia di consumatori e di marketing, ad esempio progettando le loro strutture web in modo da consentire a professionisti terzi di manifestarsi come tali agli utenti. Potrebbero altresì indicare chiaramente a tutti gli utenti che potranno avvalersi della tutela prevista dalla normativa dell’UE in materia di consumatori e di marketing solo quando interagiranno con professionisti. Se la piattaforma di collaborazione applica dei criteri per la selezione dei prestatori dei servizi sottostanti che operano attraverso di essa ed effettua controlli sulla loro affidabilità, dovrebbe informarne gli utenti.

Le piattaforme di collaborazione e i prestatori dei servizi sottostanti possono inoltre essere tenuti a rispettare altri pertinenti obblighi di informazione imposti dal diritto dell’UE[35], anche per quanto riguarda i requisiti di trasparenza della normativa settoriale applicabile[36].

In ogni caso le piattaforme di collaborazione devono conformarsi all’attuale quadro giuridico applicabile in materia di protezione dei dati personali[37] al pari di tutti gli altri responsabili della raccolta e del trattamento di dati personali nell’Unione europea. Garantire il rispetto delle norme relative al trattamento dei dati personali contribuirà al rafforzamento della fiducia degli individui che utilizzano l’economia collaborativa, siano essi prestatori o consumatori di servizi (compresi i servizi tra pari), che avranno la certezza della debita tutela dei propri dati personali.

Un modo per accrescere la fiducia dei consumatori è migliorare la credibilità dei servizi tra pari. I meccanismi intesi a rafforzare tale fiducia, quali le recensioni e le valutazioni online e i marchi di qualità, possono rivelarsi strumenti essenziali per supplire alla carenza di informazioni circa singoli prestatori di servizi. Tali meccanismi volti a migliorare la credibilità dell’economia collaborativa sono stati ideati dalle stesse piattaforme di collaborazione o da terze parti con competenze specialistiche e possono essere particolarmente importanti nei casi in cui la vigente legislazione in materia di consumatori non trova applicazione, come spiegato di seguito.

In linea con le norme dell’UE in materia di consumatori e di marketing gli Stati membri sono incoraggiati a perseguire un approccio equilibrato che garantisca ai consumatori un alto grado di tutela, in particolare dalle pratiche commerciali sleali, senza imporre obblighi di informazione sproporzionati e altri oneri amministrativi a individui che non sono professionisti ma prestano servizi occasionalmente.

È necessario migliorare l’efficacia e l’uso dei meccanismi online finalizzati all’aumento della fiducia e della credibilità (ad esempio marchi di qualità) per incoraggiare una partecipazione più sicura all’economia collaborativa.

2.4. Lavoratori autonomi e subordinati nell’economia collaborativa

L’economia collaborativa genera nuove opportunità d’impiego, ulteriori ricavi oltre a quelli generati dai rapporti di lavoro lineari tradizionali, e consente agli individui di lavorare con modalità flessibili. Ciò permette loro di essere economicamente attivi in situazioni in cui forme più tradizionali di occupazione non siano disponibili o adatte alle loro esigenze. Allo stesso tempo i regimi di lavoro flessibile possono non essere regolari o stabili come i rapporti di lavoro tradizionali, cosa che può suscitare incertezza in merito ai diritti applicabili e al grado di protezione sociale. Le modalità di lavoro nel contesto dell’economia collaborativa si basano spesso su singole attività svolte ad hoc piuttosto che su prestazioni effettuate regolarmente in un ambiente e con una tempistica predefiniti.

In realtà ciò fa parte di un cambiamento a livello strutturale. I confini tra i lavoratori autonomi e subordinati sono sempre più sfumati, e vi è un aumento dei contratti di lavoro a tempo parziale e determinato, come anche delle persone che svolgono più di un lavoro[38]. Nell’ambito del pilastro europeo dei diritti sociali[39] la Commissione ha avviato una consultazione pubblica su come affrontare meglio l’esigenza di una maggiore partecipazione al mercato del lavoro garantendo condizioni di lavoro eque e una protezione sociale adeguata e sostenibile. Questa iniziativa è attualmente oggetto di un processo di consultazione tramite il quale la Commissione intende raccogliere le opinioni delle parti interessate sull’attuale acquis sociale dell’Unione, sul futuro del lavoro e sulla copertura dei regimi di protezione sociale.

Nonostante la maggior parte del diritto del lavoro rientri nelle competenze nazionali, l’Unione europea ha elaborato determinati standard minimi in materia di politica sociale[40]. Per fornire alcuni orientamenti su come la tradizionale distinzione tra lavoratori autonomi e subordinati trova applicazione nel contesto dell’economia collaborativa, la presente sezione esamina le condizioni necessarie affinché si configuri un rapporto di lavoro secondo il diritto del lavoro[41] e la giurisprudenza dell’UE.

Dato che generalmente il diritto del lavoro dell’UE stabilisce unicamente standard minimi e non si occupa di tutti gli aspetti della legislazione sociale applicabili ai rapporti di lavoro (il che implica che gli Stati membri possono, in linea di principio, fissare standard più elevati nel loro ordinamento nazionale) si consiglia ai partecipanti all’economia collaborativa di fare riferimento alla legislazione nazionale del lavoro applicabile nel paese in cui prestano il servizio.

La definizione di “lavoratore” dell’UE

Il diritto dell’UE che garantisce diritti ai lavoratori si applica soltanto a coloro che si trovano in un rapporto di lavoro e che sono quindi considerati “lavoratori”. Sebbene competa agli Stati membri dell’UE decidere chi debba essere considerato un lavoratore nel proprio ordinamento giuridico nazionale, a livello dell’Unione la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha definito la nozione di lavoratore ai fini dell’applicazione del diritto dell’UE[42]. Questa definizione è stata sviluppata principalmente nell’ambito della libera circolazione dei lavoratori. La CGUE ha argomentato che “la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione[43]. La Corte di giustizia ha in particolare confermato che tale definizione è utilizzata anche per stabilire chi debba essere considerato lavoratore nell’applicazione di determinate direttive dell’UE in ambito sociale[44].

La sussistenza o meno di un rapporto di lavoro deve essere stabilita sulla base di una valutazione caso per caso, tenuto conto delle circostanze di fatto che caratterizzano il rapporto tra la piattaforma e il prestatore dei servizi sottostanti e l’esecuzione dei relativi compiti, esaminando in particolare cumulativamente i tre criteri essenziali seguenti[45]:

  • l’esistenza di un rapporto di subordinazione;
  • la natura del lavoro; e
  • la presenza di una retribuzione.

Perché sia soddisfatto il criterio della subordinazione il prestatore di servizi deve agire sotto la direzione della piattaforma di collaborazione, che determina la scelta dell’attività, la retribuzione e le condizioni di lavoro[46]. In altre parole il prestatore del servizio sottostante non è libero di scegliere quali servizi prestare e come, ad esempio in virtù del rapporto contrattuale che lo lega alla piattaforma di collaborazione[47]. Se la piattaforma di collaborazione si limita a trattare il pagamento depositato da un utente e lo trasmette al prestatore del servizio sottostante ciò non implica che la piattaforma di collaborazione determini la retribuzione. L’esistenza della subordinazione non dipende necessariamente dall’effettivo esercizio di una continua gestione o supervisione48.

Perché sia soddisfatto il criterio della natura del lavoro il prestatore del servizio sottostante deve svolgere un’attività avente valore economico reale ed effettiva, escluse le attività talmente modeste da potersi definire puramente marginali ed accessorie[48]. I giudici nazionali hanno adottato approcci divergenti per individuare quali siano le attività marginali ed accessorie anche nell’ambito di rapporti di lavoro più tradizionali. Vi è una combinazione dell’uso di soglie (sulla base del salario o dell’orario di lavoro) e di valutazioni ad hoc delle caratteristiche di un determinato rapporto. Nel contesto dell’economia collaborativa, in cui le persone forniscono effettivamente servizi puramente marginali ed accessori mediante piattaforme di collaborazione, ciò significa che tali persone non si qualificherebbero come lavoratori, sebbene d’altro lato la breve durata[49], l’orario di lavoro ridotto[50], il lavoro discontinuo52 o la bassa produttività[51] non possano di per sé escludere l’esistenza di un rapporto di lavoro. Allo stesso tempo persone che forniscono servizi in maniera più che occasionale possono essere lavoratori subordinati o autonomi, in quanto l’effettiva definizione del loro status dipende da un esame globale di tutti e tre i criteri.

Il criterio della retribuzione è usato principalmente per distinguere un volontario da un lavoratore. Se il prestatore non riceve alcuna retribuzione, o riceve unicamente un rimborso dei costi sostenuti per lo svolgimento delle sue attività, il criterio di retribuzione non è soddisfatto.

Mentre i criteri sopra menzionati fungono da riferimento nell’applicazione della definizione di lavoratore a livello dell’UE, i tribunali degli Stati membri tendono a utilizzare una serie di criteri simili al momento di effettuare la valutazione globale di un determinato rapporto di lavoro nell’ambito delle competenze nazionali.

Al fine di aiutare i cittadini a sfruttare pienamente il loro potenziale, aumentare la partecipazione al mercato del lavoro e stimolare la competitività, garantendo al contempo condizioni di lavoro eque e una protezione sociale adeguata e sostenibile, gli Stati membri dovrebbero:

  • valutare l’adeguatezza delle proprie norme nazionali sul lavoro tenendo conto delle diverse esigenze dei lavoratori subordinati e autonomi nel mondo digitale e del carattere innovativo dei modelli imprenditoriali collaborativi;
  • fornire orientamenti sull’applicabilità delle norme nazionali sul lavoro alla luce dei modelli di lavoro nell’economia collaborativa.

2.5. Fiscalità

Adattamento ai nuovi modelli imprenditoriali

Gli operatori economici nell’ambito dell’economia collaborativa sono soggetti alla normativa fiscale al pari degli altri. La normativa fiscale comprende norme sul reddito delle persone fisiche e delle società e sull’imposta sul valore aggiunto. Sono tuttavia emersi problemi per quanto riguarda l’adempimento degli obblighi fiscali e la loro applicazione: difficoltà nell’identificazione dei contribuenti e dei redditi imponibili, mancanza di informazioni sui prestatori di servizi, una pianificazione fiscale aggressiva, in particolare da parte delle imprese nel settore digitale, differenze nelle pratiche fiscali in tutta l’UE e scambio insufficiente di informazioni.

A tale riguardo gli Stati membri dovrebbero mirare a obblighi proporzionati e a condizioni di parità, e applicare obblighi fiscali funzionalmente analoghi alle imprese che forniscono servizi comparabili. Aumentare la consapevolezza in materia di obblighi fiscali, informare i funzionari delle amministrazioni fiscali circa i modelli imprenditoriali collaborativi, pubblicare orientamenti e aumentare la trasparenza attraverso l’informazione online sono tutti strumenti utilizzabili per sbloccare il potenziale dell’economia collaborativa. Le parti interessate dovrebbero ricevere chiare informazioni circa gli obblighi fiscali nazionali, compresi quelli connessi allo status occupazionale.

Per una maggiore chiarezza e trasparenza alcuni Stati membri hanno pubblicato orientamenti sull’applicazione del regime fiscale nazionale ai modelli d’impresa collaborativi, e un piccolo numero ha considerato modifiche alle proprie legislazioni[52]. Per quanto riguarda la fiscalità delle imprese la Commissione sta lavorando ad un approccio generale in materia di elusione fiscale.

Allo stesso tempo l’economia collaborativa ha creato nuove opportunità per offrire aiuto alle autorità fiscali e ai contribuenti in materia di obblighi fiscali, in particolare grazie alla maggiore tracciabilità consentita dall’intermediazione delle piattaforme online. In alcuni Stati membri è già prassi concludere accordi con le piattaforme per la riscossione delle imposte. Nel settore degli alloggi ad esempio le piattaforme agevolano il pagamento delle tasse di soggiorno per conto dei prestatori di servizi. Vi sono anche casi in cui le autorità fiscali usano la tracciabilità consentita delle piattaforme online per riscuotere le imposte dai singoli prestatori.

Un esempio di buona cooperazione tra le autorità fiscali e le imprese collaborative viene dall’Estonia. L’obiettivo è quello di semplificare la procedura di dichiarazione fiscale dei guidatori con la collaborazione delle piattaforme di carpooling. Le transazioni tra il guidatore e il cliente sono registrate dalla piattaforma di collaborazione, che invia alle autorità solo i dati pertinenti ai fini fiscali. Le autorità provvedono poi a precompilare i moduli fiscali del contribuente. Il concetto di base è aiutare i contribuenti ad adempiere i loro obblighi fiscali in maniera efficace e con il minimo sforzo.

Riduzione degli oneri amministrativi

Il modo migliore di sostenere la crescita economica è attraverso misure mirate alla riduzione degli oneri amministrativi dei privati e delle imprese senza operare discriminazioni tra i modelli imprenditoriali. A tal fine un efficace scambio di informazioni in materia fiscale tra autorità, piattaforme e prestatori di servizi può contribuire a ridurre i costi. La creazione di sportelli unici e lo sviluppo di meccanismi di feedback online possono inoltre creare nuove opportunità di partenariati e controllo di conformità.

I diversi approcci adottati dalle autorità fiscali nazionali nel trattamento delle piattaforme possono tuttavia aumentare gli oneri amministrativi delle attività di collaborazione. Tali approcci possono comprendere i differenti punti di vista in merito al campo di attività delle piattaforme in relazione ai servizi che prestano,  i criteri utilizzati per collegare le attività a una giurisdizione fiscale, il rapporto di lavoro tra i prestatori di servizi e le piattaforme, nonché i requisiti generali di conformità e le procedure di controllo.

Un aiuto in questo senso potrebbe provenire dallo sviluppo di standard comuni per affrontare tali questioni in modo coerente, tenendo in considerazione gli elementi precisati nelle precedenti sezioni della presente comunicazione, e da un crescente ricorso all’amministrazione digitale.

Imposta sul valore aggiunto

Le forniture di beni e servizi da parte delle piattaforme di collaborazione o da parte degli utenti tramite esse sono in linea di principio transazioni soggette ad IVA. Possono sorgere problemi relativi alla qualifica dei partecipanti come soggetti passivi, in particolare per quanto riguarda la valutazione delle attività economiche svolte o l’esistenza di un legame diretto tra le forniture e le retribuzioni in natura (ad esempio nel caso di accordi tipo “banca” in cui i partecipanti mettono in comune certi beni e servizi in cambio del diritto di farne uso.)

La Commissione sta preparando una serie di iniziative volte a rafforzare la capacità delle amministrazioni fiscali nel quadro del piano d’azione sull’IVA[53]. Tra queste vi sono l’estensione dello sportello unico per l’IVA per i servizi elettronici alla fornitura di beni, l’avviamento di un progetto pilota inteso a migliorare la cooperazione tra le amministrazioni fiscali e la pubblicazione di una guida alla cooperazione tra le autorità fiscali e le imprese nel settore del commercio elettronico.

Gli Stati membri sono incoraggiati ad agevolare e migliorare la riscossione delle imposte ricorrendo alle possibilità offerte dalle piattaforme di collaborazione, in quanto esse effettuano già la registrazione delle attività economiche.

Le piattaforme di collaborazione dovrebbero assumere un atteggiamento proattivo nella cooperazione con le autorità fiscali nazionali al fine di definire i parametri di uno scambio di informazioni sugli obblighi fiscali, garantendo al tempo stesso il rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali e fatto salvo il regime di responsabilità degli intermediari previsto dalla direttiva sul commercio elettronico.

Gli Stati membri sono invitati a valutare le proprie disposizioni fiscali al fine di creare condizioni di parità per le imprese che forniscono gli stessi servizi. Dovrebbero altresì proseguire i loro sforzi di semplificazione, aumentando la trasparenza e pubblicando orientamenti online sull’applicazione delle norme fiscali ai modelli imprenditoriali collaborativi.

3.  Monitoraggio

L’economia collaborativa abbraccia diversi settori in un paesaggio che cambia rapidamente. Considerata questa natura dinamica e in trasformazione la Commissione intende istituire un quadro di monitoraggio che includa sia l’ambiente normativo in evoluzione che gli sviluppi economici e delle imprese. Il monitoraggio sarà teso a seguire le tendenze dei prezzi e della qualità dei servizi e a individuare eventuali ostacoli e problemi riscontrati, in particolare se derivano da regolamentazioni nazionali divergenti o lacune normative.

Gli strumenti di monitoraggio comprenderanno:

  1. indagini periodiche presso consumatori e imprese in merito all’uso dell’economia collaborativa[54].
  2. La mappatura in corso degli sviluppi normativi negli Stati membri.
  3. Il dialogo con le parti interessate nell’ambito del Forum del mercato unico, con l’organizzazione di forum due volte all’anno per valutare lo sviluppo del settore sul campo e individuare le buone pratiche.
  4. I risultati del monitoraggio dell’economia collaborativa saranno sintetizzati nel quadro di valutazione del mercato unico.

L’attività di monitoraggio[55] contribuirà anche agli attuali lavori della Commissione[56] sul mercato unico al fine di promuovere l’innovazione e l’imprenditorialità. Dato il carattere dinamico dei modelli imprenditoriali dell’economia collaborativa e il rapido sviluppo delle tecnologie digitali basate sui dati, è possibile che raccolte di dati e ricerche nuove o in corso emergano ulteriori questioni strategiche da affrontare. Le piattaforme di collaborazione dovrebbero cooperare strettamente con le autorità, inclusa la Commissione, al fine di facilitare l’accesso ai dati e alle informazioni statistiche in conformità con la legislazione in materia di protezione dei dati.

L’attività di monitoraggio e i suoi strumenti non pregiudicano in alcun caso l’applicazione da parte della Commissione della vigente legislazione dell’UE, che continuerà in linea con i principi espressi nella presente comunicazione.

4.  Conclusioni

In considerazione dei notevoli vantaggi che possono derivare dai nuovi modelli imprenditoriali dell’economia collaborativa, l’Europa dovrebbe essere pronta ad accogliere queste nuove opportunità. L’UE dovrebbe sostenere in modo proattivo l’innovazione, la competitività e le opportunità di crescita offerte dalla modernizzazione dell’economia. Al tempo stesso è importante garantire condizioni di lavoro eque e una protezione sociale e del consumatore adeguata e sostenibile. Perché ciò si verifichi i cittadini e le imprese dovrebbero essere consapevoli delle norme e degli obblighi che li riguardano, come precisato nella presente comunicazione. Analogamente, gli Stati membri sono invitati a chiarire la situazione normativa a livello nazionale. La Commissione è pronta a lavorare con gli Stati membri e con le autorità competenti per sostenerli in questo processo.

Le indicazioni contenute nella presente comunicazione sono finalizzate ad assistere i consumatori, le imprese e le autorità pubbliche perché operino con fiducia nell’economia collaborativa. Saranno inoltre di sostegno agli Stati membri nell’applicare il diritto dell’UE in maniera coerente in tutto il mercato unico. La Commissione continuerà a riesaminare gli sviluppi nell’economia collaborativa europea, a raccogliere dati ed evidenze statistiche e a lavorare con gli Stati membri e le parti interessate anche per scambiare buone pratiche. La Commissione auspica l’avvio di un dialogo con il Parlamento europeo, il Consiglio e gli Stati membri volto a garantire il miglior contesto possibile per i cittadini e le imprese attivi nell’economia collaborativa.

[1] Si stima che nel 2015 le piattaforme di collaborazione attive in cinque settori chiave dell’economia collaborativa nell’UE abbiano generato ricavi pari a 3,6 miliardi di EUR: alloggio (locazione a breve termine); trasporto di persone; servizi alle famiglie; servizi tecnici e professionali e finanza collaborativa. I dati si basano su stime della PwC Consulting nell’ambito di uno studio fatto realizzare dalla Commissione europea.

[2] EPRS: The cost of non-Europe in the Sharing Economy (EPRS: il costo della non-Europa nell’economia collaborativa). Gennaio 2016.

[3] Da un sondaggio Eurobarometro è emerso che il 52 % dei cittadini dell’UE  conosce i servizi offerti dall’economia collaborativa e che il 17 % ha utilizzato tali servizi almeno una volta. Una presentazione dei risultati del sondaggio Eurobarometro e della consultazione pubblica svolta tra settembre 2015 e gennaio 2016 è inclusa nel documento di lavoro dei servizi della Commissione allegato.

[4] Le questioni relative alle attività di crowdfunding (affrontate nella comunicazione della Commissione COM/2014/0172) e i servizi forniti dalle piattaforme di apprendimento non rientrano nell’ambito della presente comunicazione.

[5] COM(2015) 550 final.

[6] Gli orientamenti forniti nella presente comunicazione si riferiscono principalmente alle attività economiche. I servizi dell’economia collaborativa possono essere offerti gratuitamente, dietro condivisione dei costi o dietro retribuzione. Per molti Stati membri, le attività che prevedono la sola condivisione dei costi o le transazioni che mettono a disposizione servizi nel contesto di uno scambio non comportano una retribuzione. A norma del diritto dell’UE solo le attività retribuite costituiscono un’attività economica. Cfr. causa C-281/06, Jundt, Racc. 2007, pag. I-12231, punti 32, 33. È importante sottolineare che, anche se la transazione tra un prestatore di servizi e un utente non costituisce un’attività economica, le loro rispettive relazioni con la piattaforma di economia collaborativa possono essere invece considerate un’attività economica. Ciascuna relazione (piattaforma-utente; piattaforma-prestatore di servizi; prestatore di serviziutente) deve essere valutata separatamente.

[7]  L’espressione economia collaborativa è spesso usata in maniera intercambiabile con l’espressione “economia della condivisione” (sharing economy). L’economia collaborativa rapida è un fenomeno in rapida evoluzione e la sua definizione può evolvere di conseguenza.

[8] I servizi dell’economia collaborativa possono comportare il trasferimento dei diritti di proprietà intellettuale.

[9] Cfr. gli articoli 9 e 16 della direttiva 2006/123/CE (la “direttiva sui servizi”) e gli articoli 49 e 56 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

[10] Per un elenco dei motivi imperativi di interesse generale a norma della direttiva sui servizi si veda l’articolo 4, paragrafo 8, della medesima direttiva.

[11] Cfr. considerando 39 e articolo 4, paragrafo 6, della direttiva sui servizi in merito alla nozione di “autorizzazione”.

[12] Cfr. l’articolo 59 della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. La proporzionalità e il bisogno di normative nazionali relative alle professioni regolamentate saranno ulteriormente discusse in due prossime iniziative della Commissione (orientamenti in materia di riforme relative alle professioni regolamentate e verifica della proporzionalità per le professioni regolamentate).

[13] COM(2015) 690 final del 26.11.2015, comunicazione dal titolo “Analisi annuale della crescita 2016 – Consolidare la ripresa e promuovere la convergenza”.

[14] Cfr. gli articoli 10 e 11 della direttiva sui servizi.

[15] Cfr. l’articolo 13 della direttiva sui servizi.

[16] COM(2016) 179 final del 19.4.2016, comunicazione dal titolo “Piano d’azione dell’UE per l’eGovernment 2016-2020 UE — Accelerare la trasformazione digitale della pubblica amministrazione”

[17] La direttiva sui servizi ad esempio definisce i prestatori di servizi come qualsiasi persona fisica o giuridica che offre qualsiasi attività economica a titolo autonomo, fornita normalmente dietro retribuzione (cfr. articolo 4, paragrafo 2). Ciò significa che le norme di tale direttiva potrebbero riferirsi a qualsiasi attività economica a prescindere dalla frequenza con cui è fornita e senza esigere che il prestatore agisca necessariamente in qualità di “professionista”. L’acquis dell’UE relativo ai consumatori definisce inoltre “professionista” qualsiasi persona che agisce nell’ambito della propria attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale (cfr. sezione 2.3).

[18] Cfr. l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31/CE (“direttiva sul commercio elettronico”), e l’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2015/1535. Cfr. anche l’allegato I di quest’ultima direttiva per un elenco indicativo di servizi non contemplati da tale definizione.

[19] Cfr. l’articolo 4 della direttiva sul commercio elettronico.

[20] Cfr. gli articoli 2 e 3 della direttiva sul commercio elettronico. Al principio del paese di origine per la libertà di fornire servizi della società dell’informazione a livello transfrontaliero si può derogare soltanto in presenza di una minaccia o un rischio serio e grave di compromettere i quattro obiettivi seguenti: ordine pubblico, tutela della salute pubblica, pubblica sicurezza, salvaguardia della sicurezza e della difesa nazionale e protezione dei consumatori. In tal caso, le misure nazionali in questione devono essere comunque proporzionate e devono essere inoltre rispettate alcune condizioni procedurali (compresa la notifica alla Commissione).

[21] Vale a dire che siano non discriminatorie, necessarie per conseguire un obiettivo di interesse generale e proporzionate a tale obiettivo chiaramente definito (cioè che non impongono più requisiti di quanto strettamente necessario).

[22] L’effettiva valutazione/recensione è effettuata dall’utente e non dalla piattaforma di collaborazione.

[23] Articolo 14 della direttiva sul commercio elettronico.

[24] Nel contesto dell’economia collaborativa, l’attività di hosting può essere intesa in generale come un’attività riguardante la memorizzazione dei dati dei clienti e la messa a disposizione di uno spazio in cui gli utenti incontrano i prestatori dei servizi sottostanti. Le deroghe di cui agli articoli 12 e 13 della direttiva sul commercio elettronico di solito non si applicano a questo proposito, poiché le piattaforme di collaborazione normalmente non forniscono servizi di semplice trasporto (“mere conduit”) o di memorizzazione temporanea (“caching”) ai sensi di tali disposizioni.

[25] Cfr. la sezione 4 della direttiva sul commercio elettronico. Nelle cause riunite da C-236/08 a C-238/08, Google France contro Louis Vuitton, la CGUE ha evidenziato il criterio principale per cui una piattaforma online è considerata un “prestatore intermediario di servizi”, riferendosi al considerando 42 della direttiva 2000/31/CE. Secondo tale considerando, i servizi della società dell’informazione sono destinati a fornire il processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione; siffatta attività è di ordine meramente tecnico, automatico e passivo.

[26] Causa C-324/09 L’Oréal contro eBay. Ciò lascia impregiudicata la possibilità che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa nazionale esiga che la piattaforma di collaborazione impedisca una violazione o vi ponga fine. Cfr. l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva sul commercio elettronico. Informazioni generali esaurienti sul regime di responsabilità degli intermediari sono contenute nel documento di lavoro dei servizi della Commissione “Online services, including e-commerce, in the Single Market” (“I servizi online, compreso il commercio elettronico, all’interno del mercato unico”), SEC(2011) 1641 final.

[27] Come stabilito all’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico.

[28] COM(2016) 288/2 del 25 maggio 2015, comunicazione dal titolo “Le piattaforme online e il mercato unico digitale – Opportunità e sfide per l’Europa”.

[29] A tale proposito, alcuni tribunali escludono la deroga alle responsabilità se gli aspetti correlati all’hosting di un servizio non sono gli aspetti più importanti di tale servizio. Si veda al riguardo la sentenza del Tribunale di Parigi, nella causa Louis Vuitton Malletier/Christian Dior e Parfums Christian Dior Couture, Kenzo, Givenchy e Guerlain contro eBay emessa dal Tribunal de commerce di Parigi, prima sezione, il 30 giugno 2008. Un punto di vista diverso è stato adottato da un tribunale greco: cfr. la causa n. 44/2008 del Tribunale di primo grado di Rodopi, pubblicata in Armenopoulos (2009), 406.

[30] Articolo 2, lettera b), della direttiva 2005/29/CE (“direttiva sulle pratiche commerciali sleali”).

[31] Articolo 2, lettera a), della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

[32] Per le operazioni tra imprese e consumatori nell’ambito dell’economia collaborativa troverebbero applicazione la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, la direttiva 2011/83/UE (“direttiva sui diritti dei consumatori”) e la direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Per le transazioni tra imprese troverebbe applicazione la direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativa.

[33] Uno studio in corso della Commissione su questioni relative ai consumatori nell’ambito dell’economia collaborativa fornirà una mappatura delle legislazioni nazionali nei 28 Stati membri.

[34] SWD(2016) 163 final, del 25 maggio 2016, Orientamenti per l’attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali.

[35] Ad esempio a norma dell’articolo 6 della direttiva sui diritti dei consumatori, dell’articolo 22 della direttiva sui servizi e dell’articolo 5 della direttiva sul commercio elettronico.

[36] Ad esempio a norma dell’articolo 5 della direttiva sul commercio elettronico.

[37] Le norme in materia di protezione dei dati, attualmente previste dalla direttiva 95/46/CE, sono state recentemente riesaminate. Il regolamento (UE) 2016/679 (nuovo regolamento generale sulla protezione dei dati) si applica a decorrere dal 25 maggio 2018 (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1).

[38] Sulla base delle statistiche di Eurostat.

[39] COM(2016) 127 final. La consultazione pubblica sul pilastro europeo dei diritti sociali è stata avviata l’8 marzo 2016 e si concluderà il 31 dicembre 2016.

[40] Conformemente alle proprie competenze quali stabilite nell’articolo 153 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

[41] Il diritto del lavoro dell’UE comprende direttive che disciplinano i diritti e i doveri dei lavoratori. Si tratta di limitazioni dell’orario di lavoro compreso il diritto a ferie annuali retribuite, periodi di riposo giornaliero e settimanale e protezione in caso di lavoro notturno, nonché informazioni relative alle condizioni di impiego individuali, diritti dei lavoratori distaccati, divieto di discriminazione nei confronti dei lavoratori impiegati in forme di occupazione atipiche (ad esempio lavoratori a tempo parziale, a tempo determinato o interinali), protezione in caso di insolvenza dei datori di lavoro e protezione contro la discriminazione per motivi che giustificano una tutela, come il genere, l’origine etnica e l’orientamento sessuale. Comprendono altresì la protezione in caso di licenziamenti collettivi, di trasferimenti di imprese o di fusioni transfrontaliere. Il diritto del lavoro dell’UE prevede il coinvolgimento dei lavoratori: informazione, consultazione e partecipazione agli organi direttivi in determinate circostanze. In materia di salute e sicurezza sul lavoro i principi generali riguardano la prevenzione dei rischi professionali e la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.

[42] Ai fini dell’applicazione del diritto nazionale del lavoro gli Stati membri rimangono liberi di estendere la nozione di lavoratore dell’UE a situazioni che esulano dalla definizione dell’UE. Se la valutazione dell’esistenza di un rapporto di lavoro riguarda l’applicabilità di alcuni strumenti specifici del diritto dell’UE [direttiva sull’orario di lavoro (2003/88/CE) e direttiva sui licenziamenti collettivi (98/59/CE)], le definizioni nazionali dei lavoratori non sono rilevanti. Le definizioni delle leggi nazionali sono inoltre sempre soggette alla valutazione dei tribunali nazionali o europei.

[43]          COM(2010)373, Ribadire la libera circolazione dei lavoratori: diritti e principali sviluppi. Parte I, paragrafo 1.1. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52010DC0373&qid=1464189457827&from=EN.

[44] Direttive sull’orario di lavoro [Isère (C-428/09)], sui licenziamenti collettivi [Balkaya (C-229/14)] e sulla parità in materia di occupazione [“O” (C-432/14)]. Altre direttive in materia di diritto del lavoro si riferiscono espressamente alla nozione di lavoratore secondo l’accezione degli Stati membri, purché sia rispettata l’efficacia del diritto dell’UE, con riferimento alla sentenza O’Brien (C-393/10).

[45] Cfr. anche COM(2010)373 definitivo, pagg. 4-6.

[46] Jany e altri contro Staatssecretaris van Justitie (C-268/99).

[47] ” The rise of the ‘just-in-time workforce’: on-demand work, crowdwork and labour protection in the ‘gig economy’, Valerio De Stefano, Ufficio internazionale del lavoro, Condizioni di lavoro e occupazione, serie n. 71, 2016, pag. 17. 48  Danosa (C-232/09); cfr. anche De Stefano, ibidem, pag. 16.

[48] Per ulteriori dettagli sull’attuale valutazione della “genuinità del lavoro” da parte della CGUE e degli Stati membri (in funzione di soglie basate sui guadagni o sull’orario di lavoro) nel contesto della libera circolazione dei lavoratori cfr. “Comparative Report 2015 – The concept of worker under Article 45 TFEU and certain non-standard forms of employment“, rete FreSsco per la Commissione europea.

[49] Ninni-Orasche (C-413/01).

[50] Kempf (C- 139/85). 52  Raulin (C-357/89).

[51] Bettray (C-344/87).

[52] Una panoramica delle iniziative è disponibile nel documento di lavoro che accompagna la presente comunicazione.

[53] COM(2016) 148 final, del 7.4.2016, Comunicazione su un piano d’azione sull’IVA. Verso uno spazio unico europeo dell’IVA – Il momento delle scelte.

[54] Saranno inoltre estratte informazioni da statistiche ufficiali e da relazioni di terze parti.

[55] Gli elementi principali saranno integrati, nella misura in cui saranno disponibili informazioni, con dati e pareri provenienti da relazioni di terzi, eventuali analisi dei dati e web scraping e statistiche ufficiali.

[56] Esercizi REFIT esistenti o futuri possono inoltre individuare aree in cui sono necessari ulteriori interventi.

26 commenti

  1. Vergognoso che esponenti sindacali strani esperti vadano in giro a spiegare che le cose non sono come sembrano, sembra quasi chefa comodo che i taxisti non alzano il baule cosa ci diranno dopo? Che lo ha voluto l’Europa? Oggi ho letto di un sindacato solitario che ha cercato di svegliare la gente e non è un caso che lì dentro ci sia uno con le palle gli altri sindacati ?

  2. I sindacati si sveglieranno solo quando capiranno che il mercato legale classico sparirà e, con esso, tutti coloro i quali gli pagano le tessere e quindi gli stipendi-pensioni. Scandaloso il loro silenzio, scandalosa la proposta europea di distruzione totale dei taxi (e anche degli alberghi comunque, con a…bnb)

  3. Della serie eliminiamo le licenze, le autorizzazioni, togliamo responsabilità alle piattaforme (fate quello che volete) e guai, e dico GUAI che uno stato si sogni di obbligarle a sorvegliare eventuali illeciti!
    Ditemi che ho capito male…
    Qualcuno mi spiega la parte del silenzio assenso, che non ci arrivo proprio?

  4. A norma del diritto dell’UE, CIOE’!!?? NON SI POSSONO CONTROLLARE, NON DEVONO AVERE LICENZA E DEVONO POTER AGIRE SENZA PERMESSI? Scusatemi se alzo la voce ma questo documento e’ SCAN DA LO SO! ! E d’altra parte ragazzi, va bene temere ma ricordiamoci che, in Europa, siamo una cifra che fa spavento, ma devono farci fuori con le mani, se vogliono mettere in atto questo bavosissimo complotto, ci opporremo a milioni, sindacati o no!! Non stupisce questa marchetta, rU… lo diceva, che ci avrebbe pensato la UE

  5. E non dimentichiamo che sono sempre in corso ** IN FORMA DEL TUTTO SEGRETA ** le manovre per la realizzazione del TTIP, un accordo, quello fra Ue e Usa, che consisterebbe «nell’eliminazione degli ostacoli non tariffari causati dalla differenza di disciplina tra Usa e Europa», e soprattutto nell’apertura degli appalti pubblici e dei settori dei servizi.

  6. E’finita….???
    Non voglio crederci….
    Possibile che solo un Sindacato (quello che diceva il collega sopra) abbia SCRITTO DI SVEGLIARSI E DI TIRARE FUORI LE PALLE???
    Tutti gli altri,compreso il mio,mi sembrano molto silenziosi…..mah!?.
    .intanto ci stanno aprendo il fondo schiena dall’U.E…..E NESSUNO DICE NIENTE???
    Ragazzi qui si mette male…

  7. Secondo me l’Europa è ad un bivio. O ci riprendiamo i nostri stati o diventeremo un popolo unico, omologato, con stesse regole schiaviste e 20 porci che comandano…

  8. Questi folli principi a questo punto devono poter essere applicati a qualsiasi settore… per arrotondare posso mettermi per strada a vendere panini, o qualsiasi altro prodotto mi passi per la testa, o no? magari tramite applicazione, che è il nuovo titolo autorizzativo… gli Stati non devono vedere più un centesimo di tasse dal commercio!!!

  9. Penso che e fantascienza calma penso che saranno i taxi a decretare la fine dell’EU

  10. A questo punto x vendere le sigarette basta una App di un qualsiasi negozio distributore???
    Per vendere i farmaci in fascia C basta una App di un qualsiasi centro commerciale???
    Bella roba….complimenti cari governanti…prima consentite la Compra Vendita delle Attivita Commerciali e delle Licenze Taxi (con tasse da pagare allo Stato al momento della cessione del titolo) e poi li fate fallire con queste nuove regole dell U.E.???
    Le concessioni demaniali degli stabilimenti balneari le svendete alle multinazionali pure quelle???
    Cara U.E.il ceto medio lo stare uccidendo!!!
    Serve un’azione di protesta di molte caregorie colpite da queste norme ammazza imprese!!!

  11. Buongiorno qual è il l’ unico sindacato che ha espresso la sua opinione?
    Grazie

  12. Non è fantascienza secondo me. Questi iniziano a sanzionare gli stati membri se non si adeguano.

  13. Bravo Lele sono d’accordo uniamoci tutte le categorie agricolturi allevatori artigiani liberi professionisti di tutta Italia.

  14. Ormai e’chiaro..questa e’una dichiarazione di guerra che nn ha piu’bisogno di commenti..e’altresi chiaro che i soliti lobbisti hanno dettato questo mortificante documento!!!

  15. Ciao sbaglio o in questi giorni dovrebbe cominciare il processo a RU… Black presso il tribunale du Firenze?

  16. Attenzione,colleghi…in tutto questo delirio nn dimenticate mai la direttiva BOLKESTAIN…..!!!!!ricordi anche tu Marco??

  17. 1) la Commissione Europea NON E’IL PARLAMENTO EUROPEO!!!…
    CHI DECIDE E’IL PARLAMENTO EUROPEO.
    LA COSA DA CAPIRE E’SE IL PARLAMENTO EUROPEO PUO’OBBLIGARE GLI STATI MEMBRI AD ADEGUARSI ALLE SUE DIRETTIVE…O SE INVECE OGNI STATO MEMBRO PUO’MANTENERE LA SUA SOVRANITA’….???
    MARCO …FORSE TU NE SAI DI PIU’….
    2) SECONDA DOMANDA:
    SI PARLA TANTO DI LEGGE REGIONALI COME DI ANCORE DI SALVATAGGIO PER LA REGOLAZIONE DEI SERVIZI E DEL TPL….MA SE RENZI RIFORMERA’IL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE,COME HA PROMESSO,TOGLIENDO DI FATTO IL POTERE AL
    LE REGIONI,….A COSA SERVE POI UNA LEGGE REGIONALE???

  18. Per il Trasporto Pubblico Locale la UE non può imporre nulla agli Stati, ma solo dettare linee guida. E’ chiaro che se la linea guida dice che una multinazionale americana è santa e benedetta… Come si dice a Napoli, capisci a me!
    Per la seconda domanda hai perfettamente ragione, infatti credo che le bocce rimarranno ferme fino a ottobre.

  19. Scusa Marco,ma il Parlamento Europeo sei sicuro che Non possa sanzionare eventuali Stati membri che provassero ad ostacolare u*** ad esempio?
    Se passano i Ttip tra l’altro,le multinazionali come U***potrebbero fare causa al governo italiano ad esempio sul Pop oppure no?…

  20. Belle domande lele, ma nel primo caso non credo proprio visto che la Corte di Giustizia Europea ha rimandato all’Italia ogni decisione sul tpl non di linea nella famosa causa “romana” e nel secondo direi che del ttip non si sappia ancora nulla di certo nei contenuti.

  21. Grazie Marco,…Sta di fatto che solo federtaxi e’sul piede di guerra pronta a scendere in Piazza.
    Come mai questa iniziativa rimane solitaria?
    Speriamo che i Sindacati “piu’grossi”stiano portando avanti una lotta silenziosa ma efficace a Bruxelles…qui ormai tutti i giorni ce n’e’una nuova cazzarola!

  22. Un sacco di parole,io penso che stanno girando intorno al nostro settore per vedere dove c’è una falla,da lì entrano e noi moriremo TUTTI

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