Chi non Appa è perduto!

Con app e smartphone ci pensa l’algoritmo a trovare il più vicino. Da New York a Londra, è già cambiato tutto. E un po’ alla volta, anche da noi
di Laura Piccinini d.repubblica.it

sovraccaricoLa differenza tra prendere un taxi a Parigi o a Manhattan, spiegava lo scrittore Adam Gopnik in Una casa a New York, è che in Francia – un po’ come in Italia –  ti abitui ad aspettarlo in fila, ti rassegni a sentir suonare il call center a vuoto, e anche se te ne passa uno vuoto davanti, è libero di tirare dritto. «Tornato a New York, continuo a rimanere scioccato nel riscoprire che qui non ci sono regole. Entità anarchiche sbucano a mezzo isolato da te scavalcandoti, anche se eri lì da mezz’ora con la mano alzata e sei in ritardo dal pediatra». Non più. Il taxi lo chiameremo tutti a testa bassa – molti lo fanno già – digitando sull’app che tramite gps ci fa vedere l’auto libera più vicina sulla mappa, ci dice che recensioni ha avuto chi la guida, e alla fine non devi neanche tirare fuori il portafoglio col rischio di far cadere altro sul sedile: hanno già la tua carta di credito.

«Alcune app stanno rivoluzionando il mercato dei taxi», ha fatto notare l’Economist: compresa quella che in Cina ne fa arrivare uno in 30 secondi semplicemente scuotendo l’iPhone. Quando Robert De Niro in Taxi Driver diceva «un giorno di questi mi devo organizzare», forse era nel decennio sbagliato, oggi avrebbe potuto riferirsi a quella che a Silicon Valley chiamano “disruptive innovation”, cioè capace di far saltare i modelli esistenti. Come i voli low cost, Amazon che ha scombussolato il mercato dei libri, Netflix che ha ucciso i dvd, Whatsapp gli sms. Di nessuna di queste ora potremmo più fare a meno. Mancava solo l’industria dei taxi, la più conservatrice, protezionista e allo stesso tempo piena di abusivismi. E un business che con la crisi si restringeva, proprio mentre per molti neodisoccupati fare il tassista diventa una “professione rifugio”. «Il mercato dei trasporti a richiesta era l’ultimo bastione dell’inefficienza hardco-Bregman dice che non vuole “distruggere” le compagnie di taxi, la loro app non si sostituisce a loro, né al leggendario test “the Knowledge” per ottenere la licenza. Anzi: «Due terzi dei 23mila tassisti londinesi si sono affiliati a noi, garantendosi un 30% di guadagni in più». Usano i Big data. «Abbiamo un ex analista di Google. Ogni tassista riceve notificazioni push sulle zone dove c’è richiesta. Con i dati si riescono a prevedere i comportamenti dei passeggeri in base a trascorsi e abitudini». La app Hailo non è l’unica, ma un potenziale ce lo doveva avere per attirarsi i finanziamenti per 50 milioni da Atomico (del fondatore di Skype), Union Square Ventures (Twitter, Kickstarter, Foursquare). E da “Sir Virgin”, Richard Branson, che ha spiegato il suo interesse dicendo: «Ogni 7 secondi un londinese sale su un taxi chiamato con Hailo». Oggi veramente capita ogni 4, corregge Bregman. E giura che è casuale la foto su Twitter dei genitori di Kate Middleton che vanno dal nipotino George in clinica scendendo da un taxi con logo Hailo. O quelle del creatore di Wikipedia Jimmy Wales, del co-fondatore di Apple Steve Wozniack, della popstar Gwen Stefani. «Il punto è diventare una rete fidata, per cui se scendi da un aereo usi ovunque la stessa app». Certo, a Londra è stato facile perché non ci sono i Radiotaxi. C’è la flotta prenotabile dei 4000 minicab Addison Lee, ma costano qualche sterlina in più e non si sono fatti una gran reputazione quando il loro boss si è messo contro i ciclisti invitando i suoi autisti a usare le corsie dei bus, che per legge sono ciclabili (e funziona). Ma ora Hailo è già in 16 città e adottata da 42mila tassisti, da Dublino a Osaka a Montreal, New York (In Italia no, «per ora», poi capirete perché).

Il taxi in un’App
Mentre il rivale Mytaxi impazza in Germania. A New York, intanto, l’era De Blasio si è aperta con la luce verde data dalla Taxi and Limousine Commission all’uso delle app, finora osteggiate dalle compagnie timorose di perdere i clienti raccolti per strada. «Diversi tassisti trovano l’e-taxi utile per connettersi coi passeggeri specialmente di notte e fuori Manhattan», ha commentato Michael Woloz, lobbysta della Metropolitan Taxicab e nel circolo dei potenti del nuovo sindaco, che dalla categoria ha avuto 350mila dollari di donazioni elettorali. Per loro De Blasio ha tentato di bloccare i nuovi taxi verde neon voluti dal predecessore Michael Bloomberg a integrare i 13 mila Yellow Cab esistenti: da giugno sono già mille e l’ex sindaco ci si è fatto fotografare sopra.
L’ok alle app a New York l’hanno festeggiato, a San Francisco, anche quelli di Uber. Che, lo dice il nome, è un’alternativa al taxi “una spanna più su”: auto a noleggio con conducente. Diresti che è una cosa assurda, in tempi di crisi, e invece, la compagnia californiana è valutata 3,4 milioni di dollari e diffusa in 42 città, Jeff Bezos di Amazon è un finanziatore, e 258milioni di dollari le sono arrivati da Google. «Siamo il tuo autista privato» dice lo slogan. Costano un po’ di più, partono dalla cosiddetta clientela business, ma per i comuni cittadini ci sono i coupon sconto. E contano su chi ha bisogno di un servizio meno sbrigativo. Il fondatore si chiama Travis, Travis Kalanick. È un caso, ma CNN Money gli ha dedicato un servizio parafrasando l’indimenticabile Travis Bickle/De Niro in Taxi driver: «Hey, compagnie di taxi, dite a me?». Pare che molti nella West Coast usino gli “ubertaxi” alternandoli a passaggi supereconomici procurati con l’app di Lyft, che trasforma chiunque in un tassista: basta che accetti di farsi mettere dei baffi rosa sul cofano, e comunichi la disponibilità a offrire passaggi.

Un po’ la versione tecnologica di quel che succede da sempre a Mosca. Le associazioni di taxi le fanno la guerra, ma a Los Angeles hanno avuto l’appoggio del sindaco Garcetti, a cui tutto quel che serve a ridurre l’inquinamento è gradito. Mentre a Madrid il taxi-sharing con JoinUp è stato un modo per arginare il 50% di perdite che i tassisti avevano registrato causa crisi. Anche a Parigi, «nessuno era contento dello stato dei taxi», racconta Liam Boger, editore di Rude Baguette che si batte per l’espansione delle nuove tecnologie in Francia. «Da noi ci sono tre volte meno taxi per abitante che a Londra, per colpa del lobbysmo, così potente che i tassisti parigini hanno i tempi morti minori di tutti: solo il 30%. L’economista Jacques Attali aveva suggerito di aumentare il numero di taxi. «Ma non si poteva dar fastidio al gigante europeo del settore, la società G7, che se l’è presa perfino con le Autolib’ elettriche agevolate dal Comune». Così ì parigini hanno accolto benissimo app come Taxyz, o Taxibeat (ti colleghi e leggi: «Devi andare in rue de St Antoine? C’è Hamadi a 0,3 km che ha una Volkswagen e 4 stelle di gradimento, o Antonio che ne ha 5 ma sta a 1 km»). E quelle tipo Uber, Snapcar, Allocab e ChaufferPrivé. Ma la guerra non è vinta. Il 1 gennaio 2014 la Commissione Taxi deciderà se imporre 15 minuti di attesa se prenoti via app. «Una follia. Solo se ci sarà più trasparenza e competitività si daranno una regolata». Le recensioni possono fare miracoli per migliorare il servizio: sul sito Gramification, un tizio testimonia stupito del tassista supersorridente chiamato con la app GetTaxi a Tel aviv (dove la categoria non è famosa per amichevolezza) che gli mostrava orgoglioso sul telefonino le stellette del suo rating.

E in Italia? Noi abbiamo i Radiotaxi, a Milano i 4040 o gli 8585, i 3570 a Roma, ogni città i suoi. E molti hanno già adottato l’app, che scavalca l’operatrice telefonica. Il computer ti comunica il taxi più vicino con un sms: più spartano rispetto alle meravigliose mappine interattive di Londra o Parigi, che mostrano tutte le auto più vicine a te. Ma funziona. Una prova, una sera a Milano: il tassista via app è arrivato in 2 minuti. Quello all’andata, chiamata standard, ce ne aveva messi 8 o 9 , presentandosi con 10 euro di tassametro. Combinazione, odiava il gps: per cercare la via ha sfogliato lo stradario, si è perso e ha dato la colpa al cliente. «Peccato che le app le usi solo il 10% per cento dei nostri passeggeri, dice Pietro Pinto, responsabile tecnico dell’8585 (questo è un errore della giornalista, Pinto mi ha detto che la percentuale è di poco superiore al 1%, gli ho telefonato appena letto questo dato – nota di Marco)». Peccato le usi «l’1,41 %, dice Nereo Villa del sindacato Satam, eppure la pubblicità sui sedili l’abbiamo messa». I tassisti italiani hanno la coscienza tecnologica a posto. E a diventare un’Hailo all’italiana ci prova a dicembre Tommaso Lazzari, master alla London Business School of Economics lanciando Eztaxi, geolocalizzazione, recensioni ecc. «A Hong Kong ho imparato che se la gente usasse più taxi ci sarebbe meno traffico e si potrebbero abbassare le tariffe. Un’auto proria costa, inquina e mentre guidi non puoi trafficare sull’iPad o con l’email. Invece sempre più taxi hanno il wifi». Quanto ai posti di lavoro perduti dalle operatrici dei call center, tanto Lazzari quanto il parigino Boger, dicono che più che piangere su lavori persi per colpa della tecnologia, si tratta di creare posti nelle nuove strutture. «E saranno anche più interessanti che comunicare a un tizio in quanti minuti arriva il suo taxi».

5 commenti

  1. Questi vogliono le App x giocare con “le miravigliose mappine interattive”..si divertono a compilare sondaggi di ratingn convinti che qualcuno “se li fili veramente”..non vedono l’ora di consegnare i dati delle propria carta di credito ai radiotaxi “così non fanno fatica a tirarla fuori dal portafoglio ogni volta”..vogliono il tassista sorridente che offre le caramelline,il wifi e/o qualche minchiata interattiva (inutile e che non useranno mai)..premono x farsi “fidelizzare” a tutti i costi in modo che qualcuno risolva x loro presunte “scocciature”.. vogliono sentirsi partecipi di un brand (sic!) e sono disposti a pagare di più, molto di più x tutto questo..Ca..o ACCONTENTIAMOLI!! 🙂

  2. Lodevole iniziativa della giornalista Laura Piccinini sopratutto per l impegno , però devo per forza di cose raddrizzare alcune considerazioni sull articolo – Il taxi in un’App-

    Intanto le richieste dei taxi sono atipiche nei vari quartieri delle città di tutto il mondo, esistono le ore morte e i picchi di richiesta, nessuna applicazione può prescindere da questi fattori non menzionati dalla giornalista ,in piu si devono considerare i fattori esterni e sarebbe ciò che accade nel momento della richiesta del taxi da parte del cliente nella zona piu prossima a lui stesso.

    Cè un corteo li dove ti serve il taxi, puoi pure vedere la macchinina gialla vicino a te pero questa non arriva lo stesso perché bloccata .

    L articolo mette in contrapposizione quasi il taxi , quindi i tassisti con le applicazioni, cosa non vera e questo non lo ritengo corretto . Garantisco che il radiotaxi a cui faccio parte che non è stato menzionato spesso e sopratutto in centro 1 corsa e anche due su tre vengono richieste con l applicazione, e con sms lavoriamo oramai da anni in piu lo stesso radiotaxi è presente per la richiesta taxi in 6 modalità diverse da quella del classico telefono, è presente anche in rete su twitter e sui vari social network come forse nessuna compagna taxi in giro per il mondo..

    Detto questo diciamo che qualche tassista come me non ci sta a far entrare nel settore dei signori che si spacciano come innovatori in realtà mettono su smart phone applicazioni già esistenti ma anche migliori e migliorabili anche per noi , nel nostro settore a Milano, i relata vogliono raschiare dalla corsa del tassista e dal cliente energia chiamata denaro senza fare molto..

    Chiudi dicendo che il rapporto taxi abitante città a Milano è superiore anche a New York .

    Quasi 15.000 taxi per 8 milioni e 300.000 abitanti
    contro
    Quasi 5000 taxi per 1. milione e 350.000 abitanti

    Aggiungo che con le applicazioni selvagge si rischia l esatto contrario di quello che dice l articolo e cioe l aumentare di abusivismo senza controllo ne di tariffe che invece sono imposte per noni ne di garanzia per il cliente…

    Sergio

  3. Scusa taxitrader, hai visto che non si tratta di un mio articolo ma è di Laura Piccinini di repubblica? E dire che c’è scritto bene in chiaro con l’indirizzo del link COME FACCIO PER TUTTI GLI ARTICOLI NON MIEI.

  4. Gloria agli arditi inventori di acqua calda e nuove, imperdibili app (nonchè ai giullari-giornalari che, fra vari strafalcioni, decantano le inedite virtù di ciò che esisteva già)!!
    Si leverà, prima o poi, dalla folla ammirata e abbacinata la candida voce del bambino che dice “Il Re è nudo!” ?

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