La Corte costituzionale e le liberalizzazioni: ipse dixit

Da chicago-blog.it 31/01/2013 di Serena Sileoni

cortecostituzionaleLa Corte costituzionale ha avviato l’anno con una sentenza (n. 8/2013) molto significativa nella quale, con una chiarezza forse finora mai così esplicita, prende posizione nel dibattito relativo alle virtù della concorrenza sostenendo chiaramente la liberalizzazione delle attività economiche come strumento di crescita del paese.

Nell’inverno dell’anno scorso, entrava in vigore il decreto “cresciItalia” (decreto legge n. 1/2012) che si apriva con un articolo destinato a dare un nuovo impulso al principio di libera iniziativa economica, dal momento che prevede l’abrogazione delle norme che pongono limiti, programmi e controlli all’iniziativa economica privata incompatibili o irragionevoli o non proporzionati rispetto alle esigenze di tutela dei valori costituzionali, incidendo sulla libertà e sulla parità di trattamento tra operatori presenti e futuri.

Tale articolo ha lo scopo di conferire alla libertà di iniziativa economica un senso più pieno e coerente con l’art. 41 Cost., rendendo possibili i soli limiti compatibili e proporzionali alle esigenze di tutela di altri valori costituzionali, come, ad esempio, salute e sicurezza. A tal proposito, si prevede che tanto più gli ordinamenti territoriali si adegueranno a queste nuove regole tanto più , a decorrere dall’anno 2013, saranno considerate “virtuosi” ai fini del rispetto del patto di stabilità interno.

Contro la previsione di un legame tra snellimento degli oneri gravanti sulle attività economiche e virtuosità nella gestione della spesa sono ricorse alcune regioni, contestando che il parametro della virtuosità sarebbe utilizzato dal legislatore statale al di là dello scopo per il quale è stato previsto, ossia il coordinamento della finanza pubblica. Ad avviso della Toscana, «l’istituto della virtuosità, nato nell’ambito del contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, nel caso in esame diviene uno strumento di “coartazione” della volontà delle Regioni, che prescinde totalmente dalle finalità di coordinamento della finanza pubblica […] in tal modo realizzandosi una surrettizia ed inammissibile ingerenza dello Stato nella sfera delle attribuzioni legislative regionali, sia concorrenti che esclusive»

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In effetti, il raccorto tra attuazione dei principi di razionalizzazione delle attività economiche e implicazioni di natura finanziaria a carico delle autonomie locali rappresenta il principale elemento di novità nel tentativo di adeguare l’attività e le decisioni degli enti territoriali a una maggiore apertura ai mercati, già avviato con il decreto legge 138/2011.

Per la prima volta, infatti, il legislatore statale richiede agli enti territoriali un adeguamento al principio della libera iniziativa economica a pena di essere inseriti nella classe degli enti meno virtuosi, con conseguenze sotto il profilo dei vincoli di finanza pubblica (per esempio, riduzione dei trasferimenti o maggiori oneri nella realizzazione degli obiettivi previsti dal patto di stabilità).

Le regioni hanno contestato che l’attività di razionalizzazione della regolazione economica non sia attinente alla gestione della finanza pubblica, e che quindi non sia ravvisabile, in sostanza, un nesso causale tra la prima e la seconda.

La Corte costituzionale, invece, ha dichiarato in maniera assai esplicita che tra le due attività corre un legame evidente, poiché, dal momento che le politiche di liberalizzazione sono prodromiche alla crescita economica, esse sostengono l’economia nazionale con ricadute positive non solo sull’aumento del Pil, ma anche, conseguentemente, sull’aumento del gettito tributario e quindi sulla riduzione del disavanzo della finanza pubblica. Considerando, inoltre, che Pil e debito sono le stelle polari del rispetto dei parametri europei di finanza pubblica, il contributo che gli enti locali possono dare, attraverso la razionalizzazione degli oneri delle attività economiche, all’aumento del primo e alla diminuzione del secondo è auspicabile anche in vista degli impegni presi come Stato membro dell’Unione europea.

Vale la pena riportare un brano della sentenza, forse il più significativo:

“Non è difficile cogliere la ratio del legame tracciato dal legislatore fra le politiche economiche di liberalizzazione, intesa come razionalizzazione della regolazione, e le implicazioni finanziarie delle stesse. Secondo l’impostazione di fondo della normativa – ispirata a quelle evidenze economiche empiriche che individuano una significativa relazione fra liberalizzazioni e crescita economica, su cui poggiano anche molti interventi delle istituzioni europee – è ragionevole ritenere che le politiche economiche volte ad alleggerire la regolazione, liberandola dagli oneri inutili e sproporzionati, perseguano lo scopo di sostenere lo sviluppo dell’economia nazionale. Questa relazione tra liberalizzazione e crescita economica appare ulteriormente rilevante in quanto, da un lato, la crescita economica è uno dei fattori che può contribuire all’aumento del gettito tributario, che, a sua volta, concorre alla riduzione del disavanzo della finanza pubblica; dall’altro, non si può trascurare il fatto che il Patto europeo di stabilità e crescita – che è alla base del Patto di stabilità interno – esige il rispetto di alcuni indici che mettono in relazione il prodotto interno lordo, solitamente preso a riferimento quale misura della crescita economica di un Paese, con il debito delle amministrazioni pubbliche e con il deficit pubblico. Il rispetto di tali indici può essere raggiunto, sia attraverso la crescita del prodotto interno lordo, sia attraverso il contenimento e la riduzione del debito delle amministrazioni pubbliche e del deficit pubblico. In questa prospettiva, è ragionevole che la norma impugnata consenta di valutare l’adeguamento di ciascun ente territoriale ai principi della razionalizzazione della regolazione, anche al fine di stabilire le modalità con cui questo debba partecipare al risanamento della finanza pubblica. L’attuazione di politiche economiche locali e regionali volte alla liberalizzazione ordinata e ragionevole e allo sviluppo dei mercati, infatti, produce dei riflessi sul piano nazionale, sia quanto alla crescita, sia quanto alle entrate tributarie, sia, infine, quanto al rispetto delle condizioni dettate dal Patto europeo di stabilità e crescita.”

Mentre buona parte della dottrina, della classe politica e dell’opinione pubblica ancora si domanda se lo Stato debba attuare politiche economiche anticicliche, riesumando gli errori di Keynes; critica la zoppa riforma relativa all’introduzione dell’equilibrio di bilancio in Costituzione come impeditiva di spese in disavanzo; chiede la gestione pubblica e la nazionalizzazione di comparti strategici dell’economia, la Corte costituzionale sembra dare un segnale chiaro e preciso, forse mai così preciso, che la concorrenza fa bene non solo al portafoglio privato, ma anche al bilancio pubblico.

8 commenti

  1. Significa che secondo la Corte, i provvedimenti legislativi in economia hanno effetto sulle tasse e sull’erario (è l’acqua calda, fin qui). Questa è le ragione per cui provvedimenti di natura politico economica possono essere oggetto di VALUTAZIONE nel patto di stabilità.

    La Corte va oltre, però. Dice che una RAZIONALIZZAZIONE e/o una liberalizzazione ORDINATA e RAGIONEVOLE fa crescere l’economia. L’articolista/blogghista vuole far intendere un po’ di più, ma questo la Corte dice.
    L’uso attento ed orientato, nel brano di sentenza allegato, di riferimenti al riordino, alla razionalità e non certo alla deregolamentazione, indicano chiaramente che il controllo del pubblico debba rimanere. Quanto? Dipende dal settore e dalla… razionalità.

    Inoltre consideriamo che se il motivo per indurre a liberalizzare, è il gettito fiscale (c’è scritto così)… da noi toccare il numero di licenze in un territorio provocherebbe un azzeramento degli introiti del fisco. E lo sanno molto bene.

  2. Non so se siamo coinvolti in prima persona. Ma i costituzionalisti mettono in guardia le regioni e gli enti locali ad ostacolare i processi di liberalizzazioni in virtù di una mera questione di bilancio. Peggio,queste vengono ricattate dalla legge di stabilità. O fai come dico io o non becchi i fondi dello stato. Tira brutta aria. Orecchie tese.

  3. Lucone hai azzeccato in pieno, come il solito. Fa specie però che i soliti orchestrali a suon di campane e tromboni insistano a spingere sulla parola “liberalizzazione” tralasciando il ragionamento razionale per cui, come giustamente dici tu, liberalizzazione in certi settori, soprattutto i taxi, porterebbe al caos e all’illegalità come mera arma di sopravvivenza. Da non dimenticare il pericolo REALE che la criminalità organizzata entri a fare man bassa di caporalato e, in special modo, di riciclo di denaro sposrco.

    Saltando di palo in frasca: non capisco perchè i soliti campanari/trombonisti stonati continuino ad equiparare i taxi alle farmacie. Basta fermarsi ad osservare un posteggio taxi con annessa farmacia confinante e confrontare il giro d’affari degli uni e dell’altra, non c’è paragone! Noi taxi con le farmacie non abbiamo nulla a che fare, è inutile che continuino ad esporci come l’ultimo baluardo delle liberalizzazioni con le farmacie, noi siamo già fin troppo liberalizzati, così tanto liberalizzati che siamo sull’orlo del collasso al nord e già al fallimento al centro e al sud.

  4. Non fa specie: gli schieramenti in campo sono:
    Di qua
    Aziende aspiranti monopolistiche (tipo il Conte Zemolo e Maletton) + lobbysti (veri) delle grandi economie loro alleati (tipo area Monti) + mafia
    Di là
    I Prefetti col Mininterno (per le finte imprese taxi riciclatori di pizzo etc e per il rischio di cartelli trust) + il Minieconomia (che vedrebbe scendere le entrate fiscali).
    Abbiamo alleati strani. Molto strani, sul tema liberalizzzazioni. Occhio che alleati non significa amici.

  5. Mi scuso ma sono duro di comprendonio.
    Allora: ci ripetono giorno e notte che vogliono liberalizzare il servizio.
    Ci ripetono giorno e notte che le liberalizzazioni sono servizi dati in concessione al privato che deve rispettare le “regole” imposte e controllate dal “pubblico” (a chiacchiere).
    Ma scusate non siamo già esattamente questo fin dalla notte dei tempi?
    Cosa diavolo vogliono?
    Liberalizzare quello che è già di fatto “strutturato” esattamente come quello che dicono di voler fare?
    Ah già dimenticavo, siamo liberalizzati sì ma non (ancora) sotto il calcagno degli amici loro.
    E allora dagli addosso a quei fetenti, trogloditi, truffatori, evasori fiscali e pure lobbisti dei taxisti!
    E piano piano nella fragile mente dell’italiano medio si fa strada l’idea che sì, è vero, mandiamoli al rogo quei delinquenti dei taxisti!

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