Le gaffe del manager Uber: indaghiamo la vita delle giornaliste che ci criticano

mafiosoCorriere della sera So dove abiti. So dove sei stata sabato sera. A chiunque gelerebbe il sangue nel sentire una simile minaccia. Uber, la startup da oltre 30 miliardi di dollari per ordinare auto con conducente via smartphone, è andata anche oltre: ha ipotizzato di scavare nelle vite private dei giornalisti e delle loro famiglie come ritorsione e deterrente contro articoli negativi sull’azienda. L’incredibile “incidente”, che ricorda certe pratiche nixoniane, è accaduto venerdì scorso durante una cena organizzata da Ian Osborne, già adviser del primo ministro inglese David Cameron, al Waverly Inn di Manhattan, presenti da Arianna Huffington all’attore Edward Norton. Dove, in quello che aveva tutta l’aria di un piano ben delineato, il senior vice president del gigante di San Francisco Emil Michael ha ventilato l’idea di investire un milione di dollari per assumere una squadra di otto persone al fine di spiare i giornalisti che criticano Uber. Nella visione del dirigente, sfruttando i dati personali dei reporter che utilizzano l’app di Uber, il team avrebbe potuto non solo divulgare informazioni sensibili, come appunto gli indirizzi di casa dei giornalisti, ma anche indagare “sulle vostre vite private e le vostre famiglie” per portare alla luce vicende che ne avrebbero danneggiato la reputazione, minandone la credibilità.

A denunciare l’accaduto, che ha subito fatto il giro dei media del pianeta, è stato il sito BuzzFeed, uno dei cui editor era stato invitato alla cena. Un’altra grana per l’ex campaign manager di Obama, David Plouffe, arruolato in agosto come consulente strategico di Uber. Michael, che oltre ad essere considerato uno degli uomini più influenti della Silicon Valley è anche consigliere del Pentagono (il ministero della Difesa USA), ce l’aveva in particolare con una giornalista, Sarah Lacy, direttore del giornale online di San Francisco Pando Daily, dedicato all’industria hi-tech. Che ha più volte criticato il sessismo del colosso fondato da Travis Kalanick. Prima denunciando le molestie subite da alcune clienti da parte di autisti che durante il percorso facevano allusioni al loro modo di vestire, definendolo “provocante”. Più recentemente a fine ottobre, dopo che lo stesso BuzzFeed aveva segnalato la presenza, sul sito di Uber, di una promozione nata da un accordo tra Uber Lione e un’agenzia online di sedicenti modelle: la Avions de Chasse (slang per “ragazze supersexy”), il cui sito trabocca di foto di ragazze in reggiseno e mutandine nell’atto di spogliarsi, con primi piani sul sedere. Appena più pudiche (primi piani solo sulle tette) le foto scelte da Uber per pubblicizzare la promozione Uberavions, in base alla quale i clienti avrebbero potuto ordinare come autista una delle modelle di Avions de Chasse, per una corsa che non avrebbe dovuto superare i 20 minuti. Quando BuzzFeed ha denunciato la cosa, il banner di Uberavions è stato rimosso. Il giorno stesso Lacy scrisse che avrebbe cestinato la app di Uber. Era l’ultima perla nel sessismo del comparto, che va dalla lunga riluttanza di Twitter ad adoperarsi contro le molestie, affrontata solo di recente, alla raccomandazione di Satya Nadella di Microsoft a un gruppo di donne dell’hi-tech di non chiedere aumenti, fino all’ultima uscita di Mark Zuckerberg, che ha dichiarato di preferire anonime magliette grigie a un abbigliamento “frivolo” perché vestirsi in modo diverso, dice, impedirebbe di concentrarsi sul lavoro. “Casual sexism”, lo chiamano. A volte è ben deliberato. Ma il piano di Michael per spaventare e mettere a tacere i giornalisti ostili non è più solo sessismo: riguarda tutti, maschi e femmine. Ed è anche illegale. Alla cena di venerdì sera, Michael ha attaccato con veemenza Lacy, sottolineando che il rischio per le donne di essere molestate è molto più elevato con un taxi normale che con Uber, e che Lacy sarebbe stata responsabile per tutte quelle donne che, seguendo il suo esempio, avessero smesso di utilizzare la app e fossero poi molestate dal tassista di una compagnia convenzionale. Poi è tornato a illustrare il suo progetto, sottolineando la facilità con cui le “spie” di Uber avrebbero potuto scoprire e divulgare notizie compromettenti su Lacy. E per illustrarlo ai presenti si è introdotto in diretta nei dati personali di un’altra giornalista, Johana Bhuiyan di BuzzFeed, senza che questa gli avesse mai dato il permesso di farlo. Scoppiato lo scandalo, Michael si è scusato, dichiarando che le sue erano dichiarazioni impulsive off the record, nate dalla frustrazione per l’atteggiamento ostile di certa stampa, che ne era pentito e che il suo pensiero non rifletteva in alcun modo quello della società. La portavoce di Uber, Nairi Hourdajian, ha rassicurato che l’azienda non ha mai utilizzato i dati personali dei clienti per motivi altri da quelli del business che le è proprio, e che sa bene che tale pratica sarebbe illecita, tanto da avere una policy dedicata e monitorare regolarmente la condotta dei dipendenti. Eppure, quello che ha fatto Michael venerdì – senza che alcuno di Uber intervenisse – è proprio questo. Quando alla cena qualcuno ha fatto notare a Michael che il suo piano per screditare i giornalisti avrebbe potuto creare a Uber non pochi problemi di natura legale, il manager ha chiosato: “Nessuno saprebbe che siamo stati noi”.

2 commenti

  1. Ecco che si manifesta l’anima schifosa delle multinazionali. Il loro scopo non è dare un servizio o svolgere un lavoro. Il loro unico scopo è il controllo del potere, delle finanze, del mercato e delle persone.

  2. il fatto che U… si sia messo contro i giornalisti, e’ per noi una fortuna, anche se non bisogna dimenticare che in genere i giornalisti non amano certamente i tassisti. Comunque tutto questo e’ il solito imperialismo americano che esce allo scoperto

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