Un giorno da tassista (abusivo) per Uber a Torino

_ladroblitzquotidiano.it La prima chiamata arriva alle 9,10. Ci siamo appena seduti in macchina e c’è già qualcuno che ha bisogno di noi. Si chiama Giulio e deve andare al Politecnico. Ha fondato una start up: «Forniamo alle persone tutti gli ingredienti necessari per preparare una cena. Ma dobbiamo rivedere il piano finanziario, così non regge. Anzi, forse ci trasferiamo direttamente a Londra».

Poco meno di 7 chilometri in 22 minuti. Costo: 9 euro. In taxi ne avrebbe spesi come minimo 15. Il secondo cliente ci reclama alle 10 ma, quando arriviamo, sul posto non c’è. Chiamiamo. «Mi scusi, volevo disdire la corsa ma non sapevo come fare. Sa, è la prima volta». È la prima volta anche per noi. Accostiamo in via Roma, pieno centro, e aspettiamo. Dopo un quarto d’ora, il telefono s’illumina: un signore ha bisogno di un passaggio in Tribunale. 

Ci siamo fatti arruolare da Uber, il servizio che permette di prenotare un’auto con conducente tramite smartphone pagando con carta di credito. Da giovedì funziona anche a Torino: chiunque può mettersi a disposizione quando vuole, tutto il giorno o un’ora al mese. Con la nostra auto, una Alfa Romeo Giulietta, abbiamo lavorato dalle 9 alle 18, con due pause di mezz’ora: undici chiamate, nove corse portate a termine e due annullate perché il cliente aveva cambiato idea. Abbiamo percorso 100 chilometri. Incasso: 61 euro, meno 11 di gasolio e altri 11 che resteranno a Uber.

Mercoledì sera ci siamo fatti avanti. Abbiamo caricato su una piattaforma on line dati e documenti. Abbiamo anche giurato di non avere conti in sospeso con la giustizia. Per ora si fidano, ma entro due settimane dovremo fornire i certificati del Tribunale. Giovedì ci siamo ritrovati con altre quindici persone – studenti, disoccupati, due pensionati, una commessa stufa di servire clienti e in ansia per il suo negozio – in un hotel di piazza Massaua, periferia Ovest di Torino. Ci hanno accolto tre ragazzi di 25 anni. Ci hanno catechizzato per un’ora e fornito uno smartphone. In meno di ventiquattr’ore siamo diventati «autisti».

Con Uber non si telefona. Funziona tutto tramite un’app: il cliente vede sul telefono le auto più vicine e sceglie a chi chiedere un passaggio. Tra una corsa e l’altra accosti a bordo strada e aspetti. Il telefono suona, s’illumina. Basta toccare lo schermo ed ecco il passeggero: il quarto si chiama Florent, è un gallerista parigino, in città per Artissima. Parte dal centro per andare all’aeroporto di Caselle: 16 chilometri in venti minuti, costo 13 euro. Con il taxi sarebbero stati 35 o 40.

Viaggiamo senza sosta dalle 9 a mezzogiorno, poi fino alle 13,40 nessuno chiama. Ci assale l’ansia da prestazione: avremo sbagliato qualcosa? Poi, improvvisamente, il telefono si rianima. Al corso, i ragazzi di Uber raccomandano di rispondere ad almeno il 90% delle chiamate, di non telefonare al cliente a meno che non sia necessario, e di essere prudenti: «Quando credete di aver individuato il passeggero chiedetegli come si chiama. Solo a quel punto fatelo salire. Non date troppo nell’occhio». Avvertenza preziosa: Uber viaggia sul filo della legge, i vigili (e i tassisti) sono sempre in agguato.

Noi, però, non ne incontriamo nemmeno uno. Nove corse, 23 persone trasportate, solo due con più di quarant’anni e solo quattro italiani. Un francese, Maxime, voleva pagare in contanti. Impossibile: in auto non avvengono scambi di denaro o transazioni; Uber preleva direttamente il costo della corsa dalla carta di credito del cliente e ogni settimana paga il «driver» con un bonifico. «Che dovete conteggiare nella dichiarazione dei redditi». Tutte le raccomandazioni hanno un solo scopo: evitare i passi falsi. Con i vigili. Con i taxi. Con il Fisco. «Speriamo che a nessuno venga in mente di farla chiudere», dicono Gale e altri tre studenti londinesi, arrivati apposta per Artissima.

Le generazioni digitali si apprestano a stravolgere anche il modo di muoversi. Alle cinque, ci contattano due americani. Sono al Lingotto, a Eataly. Siamo lontani sei chilometri e loro devono prendere un treno 40 minuti dopo. Ci sarebbero soluzioni alternative, eppure aspettano noi, ostinatamente. Si fiondano sul sedile posteriore. Dietro c’è un taxi, chissà se l’autista se ne accorge. «È meglio se fate sedere i passeggeri accanto a voi», consigliano i ragazzi di Uber. Gli stranieri, però, salgono dietro. Gli italiani no. Coltivano il dubbio che non tutto sia perfettamente lecito. O forse covano qualche senso di colpa. Come quello che ha Daniele, che accompagniamo in Tribunale: «Sono dispiaciuto, davvero. Non è mai bello vedere una categoria in difficoltà. Se i tassisti non si fossero messi di traverso quando si voleva liberalizzare un po’ il settore, forse non saremmo qui». O forse sì. La verità è che il popolo di Uber non nutre sentimenti per i tassisti. Noi sì. Ieri abbiamo provato quanto sia sfiancante guidare in città per otto o nove ore. Ritrovandoci, alla fine, con 40 euro.

10 commenti

  1. Non so a voi, ma a me, mentre leggevo l’articolo, mi tremavano le mani e mi cresceva dentro una grande rabbia e un’immensa amarezza. Perché in questo Paese chi si muove dentro le leggi, adempie a tutti gli obblighi, dedica professionalità, tempo e passione al proprio lavoro si ritrova senza futuro?
    Questo mio commento vale anche per l’articolo di Giudici. Aggiungo che u.pop, nel caso che passi il concetto paritario fra ncc e taxi, diventerebbe indispensabile per la realizzazione del loro sporco progetto. Basta analizzare il target dei clienti di Torino. Ai taxi rimarrebbero le corse da\per gli ospedali degli over 60.

  2. Va bene fare indagini giornalistiche sul campo scrivere l’articolo ed incassare l’assegno dall’editore e chissà magari anche dello sponsor che tramite l’articolo promuove la sua attività economica. Cioè non va bene per niente incassare sponsorizzazioni per far pubblicare articoli scritti da chi ha interesse alla loro diffusione: non è più un’indagine giornalistica bensì un prolungato e dettagliatissimo spot pubblicitario.
    Mi domando ma la legge non si applica nei confronti del giornalista reoconfesso? Lui che è ben conscio di aver violato tutto quello che c’era da violare nel settore del trasporto pubblico di piazza e col suo “esempio” nei fatti invita altri ad emularlo, non deve rispondere ad alcuno dei suoi quantomeno discutibili comportamenti? Io credo che andrebbe adeguatamente sanzionato se si parte dall’assunto che la legge è uguale per tutti!

  3. Con i 39 euro per 9 ore di lavoro che gli sono rimasti in tasca (e che dovrebbe denunciare al fisco) ci deve poi togliere assicurazione ed ammortamento.
    Bilancio in rosso!
    A far bene i conti sarebbe il bilancio di un fallimento e un esempio lampante che l’unico a guadagnarci è U***.
    Benvenuto nella giungla!

  4. Intanto portiamo il giornalista in tribunale e vediamo fino a che punto arriva il suo portafoglio. Io ci metto €.50…….quanti siamo noi? Mica saranno pidocchi come me anche tutti gli altri? Oppure devono risparmiare perché già mantengono un paio di portieri d’albergo?

  5. Alberto costano i portieri…..è per rientrare ricaricano sul cliente e noi regolari muffa nei posteggi….deve finire questo giochino…..

  6. Poverino… Si è rotto il cu*o per 40€ lordi… Che coraggio che hai , parla bene con il commercialista e poi mi dici…
    Una domanda ma quando U… non ti pagherà più con chi ti vai ad appellare ?? Guarda che recuperare i soldi alle multinazionali non è facile…Finché sei in tempo tirati fuori …. Le multinazionali ricordati sempre che sono pericolose ed un danno per i giovani in cerca di lavoro.
    Comunque ti auguro buona fortuna e buon lavoro finché hai la macchina e il libretto di circolazione …..

  7. Comunque ti auguro buona fortuna e buon lavoro finché hai la macchina e il libretto di circolazione …..

    e finche’ la macchina funziona e non dovrai ripararla o peggio……..CAMBIARLA!

  8. Sinceramente non capisco questo accanimento contro il giornalista. Mi riferisco soprattutto ad ALBERTO: ha scritto un articolo che, tra l’altro, non mi sembra molto favorevole per U…. Non capisco il senso di multarlo per quello che ha fatto o chiedergli la dichiarazione dei redditi, se un giornalista si infiltra nei narcos gli dai l’ergastolo?

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