Itabolario: Taxi (1914)

Massimo Arcangeli ha raccolto 150 storie dell’Italia unita, una per ogni anno: Itabolario. L’Italia unita in 150 parole (Carocci editore)

testata_taxiÈ attraverso gli scambi con Parigi che taxi, parola di origine francese (abbreviazione di taximètre), penetra nella nostra lingua. Fra i primi autori italiani a usare il vocabolo, non a caso, Ardengo Soffici (nella capitale francese aveva trascorso i primi sette anni del nuovo secolo, per poi tornarvi più volte); in un testo del 1914, pubblicato sull’importante rivista letteraria “Lacerba” (Sul marmo, 15 giugno, pp. 184-5), l’artista toscano descrive scene della vita parigina contemporanea: «Il portiere che dorme e non tira la corda. / Il parrucchiere che sciopera il lunedì. […] Il taxi che non si trova o fa dei giri infiniti per rubarci una lira» (p. 185). La parola non è però una novità assoluta; nel 1911, in un racconto d’ambientazione parigina, il neologismo era stato usato con disinvoltura, senza glosse né virgolette: «S’interruppe di nuovo, e come avesse dato un ordine al conduttore d’un taxi, soggiunse: – Restaurant Maurice, rue Drouot, au coin de la rue de Provence» (L. Zuccoli, La moglie innamorata, in “La Lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera”, vol. XI, n. 2, p. 108). Sette anni dopo la voce sarà registrata nel Dizionario moderno: il taxi comincerà così il suo viaggio nella lessicografia italiana (DM, 1918, s. v.).

 

L’invenzione del tassametro, l’«apparecchio contatore installato sulle automobili pubbliche per indicare l’importo dovuto dal cliente in relazione al tragitto percorso» (GRADIT, 2007, s. v.), risale agli ultimi anni del XIX secolo, gli stessi che avevano visto la nascita dell’automobile; era stato il tedesco Gottlieb Daimler, nel 1897, a combinare queste due novità tecnologiche per costruire il Daimler Victoria, il primo taxi “moderno” del mondo. La crescente esigenza di spostamenti rapidi e il costo delle autovetture, di cui ben pochi potevano permettersi l’acquisto, avevano favorito lo sviluppo di questo nuovo mezzo di trasporto pubblico. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento tutte le più importanti metropoli del mondo si erano dotate di taxi, che avevano affiancato gli sferraglianti tram nella costruzione di un nuovo paesaggio urbano; fra le prime città in Europa ad adottare e regolamentare il servizio taxi era stata Parigi, capitale, in quegli anni, della vita culturale europea, meta e rifugio per generazioni di artisti che avevano fatto della Francia la loro patria elettiva.

In qualità di prestito il termine viene accolto con diffidenza, spesso confinato nelle liste di proscrizione dei forestierismi collocate in appendice a numerosi dizionari di impronta neopurista. Il fascismo, particolarmente ostile alle voci straniere, tenderà a tollerarne l’uso, previo adattamento fonomorfologico: taxi verrà così italianizzato in tassì («Sai cosa facciamo? Prendiamo un tassì»: V. Brocchi, Il volo nuziale, Mondadori, Milano 1932, p. 106). La fortuna della nuova parola è testimoniata dai derivati tassista (1952; rara la variante taxista) e tassinaro (1954; da tassì + -aro, sul modello di benzinaro “benzinaio”), il cui suffisso tradisce l’origine romanesca (l’uso del vocabolo, difatti, è per lo più limitato all’area romana); assai meno diffuso, benché registrato dai vari dizionari, è tassinaggio “servizio di trasporto per mezzo di taxi” (1983; cfr. DEVOL, 1987, s. v.), così come tassistico (DM, 1935, s. v.). Lo sviluppo dei mezzi e dei servizi di trasporto ha prodotto nuovi referenti e relativi composti nominali: radiotaxi (che può riferirsi tanto al servizio telefonico attraverso cui è possibile chiamare un taxi quanto alla vettura stessa, collegata via radio alla centrale che raccoglie le richieste), elitaxi, aerotaxi o aerotassì (le varianti tassì aereo e taxi-aereo sono già attestate negli anni trenta). Esigenze di risparmio, unitamente all’incremento del traffico e dell’inquinamento, hanno portato a ideare il taxibus (“la Repubblica”, 25 giugno 1989), detto anche taxi collettivo o taxi multiplo, che offre la possibilità a più clienti di dividere la stessa vettura e i costi della corsa; ancor più recente è la diffusione dei velotaxi (dal francese velo “bicicletta”) o bicitaxi, in servizio per piccoli tragitti nel centro di alcune città europee.

Se le idee sono innovative, il meccanismo di formazione dei composti è sempre lo stesso: più originale è forse taxi-girl

, anglismo (risalente almeno agli anni trenta) con cui si indicavano le ragazze pagate (a tempo, ovviamente) dal padrone di una balera affinché ballassero con i clienti. Per dirla con DM (1935), dove il composto appare per la prima volta: «Costume riprovevole, vocabolo grazioso».

 

fonte: ilpost.it 10/06/2011

2 commenti

  1. Bell’articolo.
    L’Autopubblica è tornata a chiamarsi “taxi”, ma il “tassista” è rimasto con la esse. Aggiungerei che il fenomeno sarebbe probabilmente avvenuto anche senza il ventennio, perché “taxista” ha una pronuncia ostile.

    Faccio notare un piccolo riflesso nel nostro quotidiano: un radiotaxi milanese, guarda caso quello fondato più di 50 anno fa, si chiama “Autoradiotassi” con la esse.

  2. Soprattutto interessante. Se i colleghi non sono troppo occupati a scornarsi fra loro per fedi politiche avverse, consiglio loro questa sana lettura che di certo soddisfa qualche curiosità.

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